CORTINA RACCONTA - Campiello a Cortina
Campiello a Cortina
Evento del: 30/07/2011 18:00 - Audi Palace
Data articolo: 30/07/2011
​D’estate e di libri. Di pagine ed immagini. Va in scena il Campiello a Cortina, ed è autentica esperienza di parole che si fanno storie. Si impastano alla carta e divengono vita. Dietro le copertine, svettano i volti degli autori: la passerella ampezzana della cinquina nominata a maggio a Padova sfila per la nona volta sul palco di InContra.

Andrea Molesini, autore de “Non tutti i bastardi sono di Vienna” (Sellerio) esordisce con paragrafi di questo tenore “ho respirato un’aria fatta d’opposti”. Le sue sono immagini d’una famiglia normale vittima della guerra, ma ancora sorprendentemente ricca, in cui vinti e vincitori si contendono lo spazio psicologico della villa in cui gli stessi protagonisti risiedono. Voce narrante è un diciassettenne, innocente ed ignorante allo stesso tempo: imparerà a stare al mondo proprio nel corso del libro. La scenografia è macabra, quella di una guerra che è “assassinio, sempre”, “distruzione di civiltà”.

Giuseppe Lupo, autore de “L’ultima sposa di Palmira” (Marsilio), dedica l’opera alla compagna di vita Annalisa «che è più vera del sogno». Palmira non esiste, è un non luogo, quindi esiste tantissimo. È fatta di legno, come tutto quell’artigianato mediterraneo che ci riporta all’infanzia. Pensate al posto ove non vi sentite spaesati ed innamoratevi delle geografie invisibili. Vito Gerusalemme è il protagonista di questo paradiso, un ebanista che costruisce i mobili per le spose del paese, ed anche per l’ultima “condannata a procreare” per evitare l’estinzione del Paese. Il legno, d’altronde, è l’elemento che lo accompagna in tutta la parabola esistenziale.

Federica Manzon, autrice de “Di fama e di sventura” (Mondadori), scrive nella sua prefazione di «essere cresciuta nelle storie». In copertina un tuffo svetta da sinistra verso destra, s’un campo bianco – che più bianco non si può. Suo il personaggio, Tommaso, che nasce in una notte d’estate col dono di leggere nel cuore degli altri. Ambientato a Trieste che – sebbene innominata – fa da sfondo alle vicende narrate e col suo vento «fa diventare tutti pazzi». L’io narrante è quello di Luce, donna che “vuole fare chiarezza”, la vicenda è quella di Vittoria: una donna che si fa mantra e riecheggia nelle pagine più lancinanti del suo testo. Vittoria, quella piccola peste, Vittoria, amore di papà: è il suo ritornello.


Maria Pia Ammirati, autrice de “Se tu fossi qui” (Cairo Editore), ha scritto un romanzo dell’io, un micro viaggio del protagonista in fuga dalla vita. Nelle pagine che scorrono veloci, c’è tutta quest’idea del destino che allestisce i matrimoni e prepara alla morte, migliore chiave di lettura dell’esistenza in una città piena di sacrifici. Solo dopo essersene separato per sempre, un uomo conoscerà finalmente la vitale bellezza della sua donna. Luci d’accenti sghembi e guadagni da spartire, di volti cupi e di zie che – d’improvviso – scompaiono tra il baccalà. La sua lettura è lieve e visionaria, come di uno strapiombo a picco sulle storture che, a raddrizzarle, si rischia d’impazzire.

Ernesto Ferrero, autore de “Disegnare il vento” (Einaudi) ingenuamente sognava di cambiare il mondo coi buoni libri. Ci sarà riuscito? La sua è letteratura che parte dall’oggi per approdare allo ieri, evoca gli ultimi istanti di Emilio Salgari. Angiolina è la protagonista, chiede se scrivere sia questione di talento o impegno. «Si scrive per vivere molte vite, per essere un altro, per non fare il mestiere che fa tuo padre, perché non hai soldi per viaggiare, per fargliela pagare ai prepotenti». La superba sua creatura è costruzione d’occhi buoni e candele: opera certosina di vita che “la si vive o la si scrive”.


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