CORTINA RACCONTA - eventi

Sinistra, che fare?
- Audi Palace
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Viviamo strani giorni, qui nel Belpaese. Mentre la politica parlamentare, da tempo in vacanza, pare capitolare sotto i colpi speculativi dell’economia mondiale, esponenti chiacchieratissimi dell’élite economica nostrana (invero, si una fetta autorevole, munifica e cospicua di essa) si dicono pronti all’invasione di campo.

«È un po’ come se noi tifosi del Toro facessimo una discussione sulla formazione da mandare in campo per la finale di Champions’ League». Chiamparino sceglie la metafora calcistica, glissa e preferisce non misurarsi con la repentina accelerata dell’ispiratore di ItaliaFutura, né gli va di prendere sul serio l’endorsement dell’Ad di Fiat Group. Lo scetticismo sulle manovre estive del Presidente della Ferrari è allo stesso tempo clamoroso e cortese: «Bah, non mi faccia parlare, cosa vuole che le dica? Le uscite di Marchionne credo siano cose da valutare solo quando di reale ci sia qualcosa di più di una dichiarazione a mezzo stampa. Bisogna innanzitutto capire se si terranno le elezioni, quando queste avverranno – qualcuno parla di un anno e mezzo ma sono numeri buttati lì. Dopodiché… Perché sa: tra il dire e il fare…». «Come farebbe poi, Marchionne, a non dire che sostiene Montezemolo visto che questi è stato suo presidente per tanto tempo?». Ride fragoroso: «Al netto di tutto ciò, bisogna però capire cosa succede quando si arriverà al dunque». La notizia dunque è questa, lo snobismo elegante dell’apparato democratico.

A margine del red revival cortinese che lo contrappone all’ex sindaco sabaudo Sergio Chiamparino, il presidente Fausto Bertinotti è in bilico circa lo stato di salute della cosa rossa tricolore, rivelerà trai denti all’onorevole piddino, giacché «se sia ancora in vita non so dirlo, di certo so che, per vivere, uno deve esistere. E non è che io abbia troppe certezze su questo». Evoca la sorte dell’Araba Fenice e spera nella replica moderna. La sinistra dunque, stando all’analisi bertinottiana, «non esiste». Almeno, nella sua dimensione oltremondana, «avevamo noi rivoluzionari creduto nel mito della promozione sociale (“anche l'operaio vuole il figlio dottore”, direbbe in musica Paolo Pietrangeli ndr), dell’abbattimento delle disuguaglianze che sono di per sé offensive». Oggi l’attualità di questi temi è stridente, stante il vento destrutturante dell’emergenza finanziaria, eppure «esiste un vuoto ideale e plastico di rappresentanza valoriale». Tuona contro tutti e tutto: «Chi mi spiega perché ormai solo Comunione e Liberazione è in grado di essere rappresentativa?»

«Non esiste – insisterà l’ex presidente della Camera – la sinistra e con lei sono scomparse due altre cose ben importanti: la democrazia e la politica». «Il commissariamento tecnico che Mario Monti ha definito “l’intervento del podestà straniero” sa di signoraggio, il dibattito tra personaggi complici è mero rumore di fondo nel marasma del nuovo Secolo. La cosa necessaria ed irrinunciabile sarebbe la destrutturazione e la rinascita (o ancora la Resurrezione – preciserà, omettendo di proposito un richiamo alla Rifondazione, illusione tramontata) di una nuova sinistra Europea». Lo strumento? «Il massivo bombardamento del quartier generale», va giù duro Bertinotti. La deriva della “democrazia della spesa” (il copyright è di Ernesto Galli della Loggia) è il dramma del nostro tempo, sebbene «non sono così ottocentesco da riproporvi la rilettura del Manifesto, ma vorrei che tutti si occupassero del bene comune alla Di Vittorio». Difende il ruolo dell’individuo nel «traino delle economie». Si arrampica sugli specchi ripidi del vuoto di credibilità della nostra classe dirigente e scherza sulla discesa in campo di Montezemolo, «la pensiamo uguale su qualche cosa ma purtroppo io non godo del sostegno di Marchionne».

Motteggia pure Chiamparino: «Oggi le decisioni sono appannaggio di una cabina di regia di matrice oligarchico - europea alla ricerca forsennata della balla del pareggio di lancio». Si trova costretto ad ammettere che «la globalizzazione ha spostato i parametri su cui erano calibrati i nostri progetti». Il caos scespiriano in cui versa la galassia rossa in tutt’Europa fa dire all’ex amministratore che «ci sono più cose in cielo e in terra di quante ce ne appaiano». «I partiti sono stati nel Dopoguerra d’Europa un luogo di formazione, oggi sono ridotti a semplici ed anzi rozze commissioni elettorali». Colui che fondò l’Arcobaleno evoca la sconfitta della Comune di Parigi e parla per metafore e ricche citazioni pasoliniane («penso allo sconquasso del “paese nel Paese»). Infine arriva il momento verità: «tutti a sinistra abbiamo perso, occorre tuttavia un esercizio democratico: sarei disposto anche a militare nello stesso partito di Sergio a patto che prevalga il principio dell’ “una testa un voto”, mi genufletterei al volere della maggioranza».

Intanto una bozza programmatica nasce come controproposta alla contromanovra (perdonate la ridondanza) avanzata dai thinker di ItaliaFutura per bocca di Sergio Chiamparino: «Se, dopo aver ammirato i porticcioli delle nostre riviere pieni di barche anche in questa stagione estiva, andassimo a controllare chi di quelle imbarcazioni sono proprietari, scopriremmo che nel Paese l’economia sommersa e l’impulso all’evasione sono ancora troppo diffusi. Colpire un po’ più i patrimoni e un po’ meno i redditi, sarebbe dunque un modo per ricostituire le relazioni tra patrimonio e reddito. Tale approccio porterebbe alla cancellazione del nero che spesso rischia di essere elemento preponderante, direi quasi una base costitutiva, del sistema economico italiano». Parola di Chiamparino, l’ex sindaco sereno.
 

PIÙ VERDE PER NON RESTARE AL VERDE. ROBIN HOOD TAX PERMETTENDO
- Audi Palace
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​Al netto dell’emotività della consultazione referendaria, si prova a parlare di energia con serenità: si confrontano istituzioni ed operatori del settore a Cortina. Sala gremita per un appuntamento tanto importante. Occorre capire quale strada seguire e quali siano i destini delle rinnovabili. Investire nella green economy come strumento per continuare a crescere, salvare l’ambiente e sfruttare meglio l’agricoltura: è una soluzione percorribile?

Stefano Saglia, sottosegretario allo Sviluppo Economico, insiste: «siamo vicino ad un sistema ordinato, ci sono stati errori da parte del governo, ed io ho provato a porvi rimedio. Non siamo al passo con la normativa europea, però, se si cambia con un decreto legge, tutto peggiora. Se invece lo si fa “cum grano salis” si costruisce un sistema virtuoso. Negli ultimi mesi qualcuno ha ritenuto che il peso dei certificati verdi poteva essere alleviato dalle bollette dei cittadini ed ha compiuto interventi col macete. Ho tentato di fare riferimento alla direttiva europea sulla rinnovabili, direttiva da cui deriveranno nuovi stimoli. Lo ammetto: noi stesso abbiamo generato confusione ed il rallentamento degli investimenti. Raggiungeremo gli obiettivi prefissati. La crescita impetuosa del fotovoltaico ha determinato il blocco degli incentivi in Spagna, per esempio. Un obiettivo del 2020 è stato già raggiunto nel 2011. Il solare fotovoltaico è il più facile da realizzare dal punto di vista burocratico. I grandi impianti a terra non sono più convenienti, si va sui tetti non solo delle private abitazioni ma anche degli impianti industriali. Vogliamo costruire l’indipendenza dagli incentivi entro un breve periodo». Continua l’esponente del governo:«Continueremo a combinare guai, ne abbiamo combinati tre o quattro, che abbiamo provveduto a correggere. L’effetto annuncio è ovviamente distorsivo, al netto della Robin Tax entro questo anno solare daremo prospettiva a medio lungo termine stando dentro un tetto: possiamo investire 5 - 6 milioni di euro».

Federico Vecchioni, presidente Terrae, presidente Agriventure, vorrebbe si scommettesse su ricerca ed innovazione. «Facciamo domande per avere incentivi. Una domanda da 200 € costa 350 €, è un’anomalia tutta nostra». Guido Bortoni, presidente Autorità Energia elettrica e Gas, parla chiaro: «prepariamo due cose, la nuova generazione di tecnologie da fonti rinnovabili ed un’industria che agisca alla bisogna. Dobbiamo trovare meccanismi che faccino convivere fonti rinnovabili e patrimonio ed impianti convenzionali». Giuseppe Garofano, vicepresidente Alerion è perentorio: «L’eolico non è mafia, vorrei precisare. Non si vuole più assistere al mercato delle autorizzazioni. Assistiamo ad un’aggressione. Il 40 % dei certificati verdi è attribuito all’idroelettrico. Chi produce turbogas non sarà tenuto ad acquistare i certificati verdi. Mi chiedo se ci siano le condizioni per fare attività d’impresa nel settore delle rinnovabili. Il mercato mi pare piuttosto monopolistico e chiuso a chi vorrebbe investire». Bortoni, presidente Autority Energia Elettrica e Gas, rincara la dose: «risparmio energetico non vuol dire pauperismo, ma efficienza nel fare le stesse cose. Ci siamo impiccati alla frazione del 17% frutto del rapporto tra quantità di fonti rinnovabili utilizzati e consumo energetico totale dell’Italia. Se si facessero calcoli, si scoprirebbe che lo stesso sforzo si raggiunge sia con investimento che con risparmio. Occorrerebbe che noi scegliessimo la misura migliore per il nostro paese per costruire un nuovo modello di sviluppo. Questo esiste».
 
Luigi Campello, amministratore delegato Electrolux, parla di “negawatt” ovvero del risparmio di energia sui consumi attuali. «Chi dice che innoviamo poco, si sbaglia. È un errore. Una lavatrice oggi consuma due terzi in meno rispetto a vent’anni fa». Prosegue: «Il nostro settore ha fatto molto. La nostra azienda ha fatto del verde una strategia. Lo abbiamo scelto per strategia e non perché ce lo imponevano le leggi. Che cosa si può migliorare? L’attenzione del consumatore andrebbe incentivata. Trovo molto istruttivo il testo “La nuova ecologia politica”. L’efficienza energetica ci deve consentire una crescita. L’industria sta facendo molto, il governo potrebbe fare qual cosina di più». «Combinando la crisi economica con esigenze di sostenibilità, potremmo dare spinta ad economia. Abbiamo riqualificato la produzione italiana e vorremmo proseguire su questa strada». Stefano Saglia, sottosegretario Sviluppo Economico, controbatte: «C’è un obiettivo europeo non vincolante, disincentiva il governo perche non vincolante. Il salto di qualità lo faremo sulla casa, siamo avanti sull’efficienza industriale. Siamo invece su situazione critica per quanto riguarda il patrimonio edilizio. Penso ne spero di non avere uno scontro violento sulla detrazione del 55%. È una misura utile che ha fatto emergere moto sommerso». «Vale un sacco di soldi. Costa 300 milioni, la ragioneria dello Stato non considera l’entrata. Dobbiamo preoccuparci di demolire e ricostruire nei centri città non solo in periferia». «Abbiam fatto numeri formidabili, i prezzi son stati modulati sulla base del valore degli incentivi».

Pietro Colucci, presidente e amministratore delegato Kinexia, coautore con Edo Ronchi de “Vento a favore” (Edizioni Ambiente) è sincero: «il paese non ha compreso la portata della green economy. Non c’è vento a favore per il marinaio che non sa dove andare. Vorremmo evitare di “aprire tavoli”, mancano le condizioni tecniche perché siamo in over capacity. Non abbiamo bisogno di produzione elettrica. Il rischio è una tela di Penelope infinita in cui ognuno disfa quanto precedentemente realizzato dall’altro governo». Giuseppe Noviello, presidente Hfv, chiarisce subito di essere tria maggiori produttori nazionali di energia fotovoltaica. «Per un imprenditore avere un lotto attrezzato è una panacea. Non volgio metter ein dubbio la onestà intellettuale delle istituzione, potremmo aiutare lo Stato a scrivere i decreti. Siamo sempre dipendenti dai combustibili fossili. Quello che vorremmo dalle istituzioni è rendere giustizia alle rinnovabili. Paghiamo bolletta elettrica più alta d’Europa. Non certo per colpa delle rinnovabili. Stiamo costruendo tanti impianti in Calabria. Non è neppure vero che regaliamo soldi ai cinesi, il 60% resta in Italia. Col carbone l’estero si arricchisce molto di più»



Con la cultura si mangia
- Audi Palace
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Di bellezza e cultura, di come far ripartire il Paese scommettendo su una ricchezza inesauribile eppure vilipesa. Riccardo Villari, sottosegretario ministero Beni e Attività culturali, ammette: «è un settore che può fare da volano alla nostra economia. Tutto quello che ruota attorno alla cultura rende. Non è un problema solo di risorse, oggi la verità è che dobbiamo amministrare al meglio quello che abbiamo facendo i conti con la crisi. Affianco ai concetti di tutela e conservazione, dobbiamo considerare anche quelli di produzione e fruizione, aprire a capitali privati e considerare i bene artistici e culturali come produttori di ricchezza e benessere». Loda il modo d’agire del ministro Galan. Sapido l’intervento di Stefano Zecchi, docente di Estetica all’Università Statale di Milano ed autore de “Quando ci batteva forte il cuore” (Mondadori): «Aristotele non ha mai parlato di cultura. Cartesio inizia a ragionare sulla cultura di carattere scientifico, reputandola problema generale della società. Il problema non è vedere quanti soldi si spendono, ma chi li gestisce: si tratta di cultura amministrativa».

«Oltre alle risorse che gestisce direttamente il ministero – ha sostenuto Villari – ci sono le risorse agli enti locali. In Italia cultura significa 5% del Pil. Il problema delle risorse è secondario, l’importante è chi le gestisce, la mentalità con cui lo fa. Dal Dopoguerra al ‘74 tutto era in uno stato di forte polverizzazione, poi vennero istituiti il ministero (con il grande Giovanni Spadolini) e le regioni, c’è stato il trasferimento di competenze e cultura come qualcosa non solo da tutelare, ma da organizzare. Negli ultimi vent’anni anche produzione e fruizione del bene culturale. Eccesso di conservazione in questo Paese, ci sono corporazioni che resistono a cambiamenti molto veloci e dinamici. Andrebbero asciugati i mille rivoli in cui si disperdono risorse, lo Stato deve creare il valore aggiunto della conoscenza, il bene immateriale, deve fare qualcosa di più nobile, ma non deve nemmeno buttare i soldi». «La situazione attuale – ha detto Villari - è questa: ci sono 466 musei statali e 1 milione di musei comunali per 350mila mq di superficie, 46 biblioteche nazionali, 24 milioni di volumi, mezzo milione di beni culturali immobili, in quantificati beni mobili, 13 milioni di faldoni nei nostri archivi, parchi archeologici per tredici milioni di mq. Di fronte a questi numeri sono convinto che non ci sono risorse che tengano lo Stato non le può sostenere lo Stato, che deve tenere per sé la tutela e la vigilanza e cercare di favorire nella maniera più semplice l’afflusso di capitali privati. L’operazione Colosseo è una di queste».

Maurizio Scaparro, regista teatrale, sostiene di sentirsi circondato dall’ignoranza e dal cattivo gusto. Prosegue: «dobbiamo difendere con tutta la nostra forza le istituzioni come la Biennale. Dobbiamo sostenere con tutta la nostra forza – ha detto – le istituzioni vere come la Biennale, le poche che difendono la cultura». Dichiara: «Il programma da me ideato al Teatro della Pergola di Firenze per le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia, parte proprio dalla considerazione che la cultura, oltre ad essere elemento costitutivo dell’identità del Paese, ne rappresenta, nella sua straordinaria ricchezza e varietà, una fondamentale risorsa in termini di sviluppo. Le giornate saranno aperte significativamente da un appuntamento con Alessandro Gassman che, commenterà un filmato inedito sul lavoro cinematografico e teatrale del padre Vittorio, ricordando che a Firenze nacque, tra l’altro, la famosa “Bottega del teatro” voluta e diretta dal grande attore». Per Paolo Baratta, presidente Biennale Venezia, la cultura è il “modo con cui guardiamo a noi stessi”. «Se pensiamo alla cultura come a tutto ciò che normalmente esula dall’attività lavorativa, mi va bene questa definizione omnicomprensiva del termine». Si augura però che alle belle parole seguano i fatti. Ed anche noi con lui.
 

Sindaci a confronto
- Audi Palace
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​Pure a Cortina “avimm’ scassato”, almeno a giudicare dalle presenze di pubblico. Luigi de Magistris contro Gianni Alemanno: sindaci a confronto, mal Comune mezzo gaudio. Arrivano puntuali, entrambi scortati, e si lanciano diffidenti nei convenevoli di rito. Timido il primo cittadino di Napoli, spavaldo quello capitolino che confessa: «a riguardare le foto delle proclamazione (e di giorni da allora, a voler essere precisini, ne son trascorsi ben 1212), scopro di aver collezionato un sacco di capelli bianchi in più. Però, caro Gigi, fare il sindaco ti piacerà: credimi». Abbronzatissimo, l’amministratore partenopeo scherza con alcuni cittadini che lo attendono per un fulmineo “in bocca al lupo”, molti i ragazzini che vorranno stringergli la mano.

Epperò di manovra economica si discute, ed anzi s’inaugura la Santa Alleanza contro Alberto da Giussano, benedetta nel nome della lotta al padanocentrismo del Governo nazionale: tutto un flirt trai due sindaci, insoddisfatti dei tagli agli enti locali contenuti nel documento dell’Esecutivo. Prima di salire sul palco, addirittura si autoconvocano per la riunione dell’ANCI che si terrà negli ultimi giorni di agosto a Milano perché «dobbiamo riaprire una stagione politica delle Municipalità, d’altronde le più belle esperienze politiche son venute dai sindaci che son messi insieme per fare Rete». Dal palco Alemanno confermerà: «Mi auguro che il governo non solo metta mano ad un cambiamento sostanziale della manovra, ma faccia un grande confronto con le parti sociali, con gli amministratori locali, in maniera tale da trovare una strada condivisa. Il prossimo mese è decisivo. Di questa manovra – precisa – vanno sicuramente salvati i saldi, vale a dire l'entità numerica che ci deve garantire sui mercati internazionali. Ciò che invece va ridiscusso profondamente sono, da un lato, i tagli che sono insostenibili e, dall'altro lato, i contributi di solidarietà che colpiscono il ceto medio e chi già paga le tasse». Prosegue deciso: «Ci sono molti rimedi per fare queste modifiche. Si può pensare ad un aumento di un punto dell'Iva, non sui generi di necessità ovviamente, si può parlare di una piccola patrimoniale, dell'aumento dell'età pensionabile o della riduzione delle pensioni di anzianità». Bingo. «Però – si affretta a concludere – tutto questo va concertato». Bordate pesantissime al ministro Tremonti che «non si può inventare ogni provvedimento dal bunker di via XX Settembre» e fendenti condivisi contro la Lega: «Mi sembra assurdo ed impresentabile il loro veto, mi pare oltremodo sciocco che non si aboliscano le provincie, enti sovrastrutturali e pleonastici. Avremmo dovuto abolirle già nel 1970. Serve serietà, e qualcuno non la sta dimostrando».

Poi tocca a lui: «A Napoli abbiamo fatto la rivoluzione, l’alternativa era la liquidazione fallimentare. Ma questa manovra è ingiusta ed iniqua perché colpisce gli enti locali, i laboratori civici di rappresentanza», sappiatelo: c’è del nichilismo nell’aria (nel senso di lessico del Governatore pugliese). «Il buio è alle spalle, la luce si intravede e dobbiamo consolidare questi risultati straordinari: in due mesi sono state smaltite 2.500 tonnellate di rifiuti e, dal primo agosto, non c'è un sacchetto di munnezza in strada». Per poter dire di essere definitivamente fuori dall'emergenza, però, «aspettiamo settembre perché ci stanno due passaggi importanti: inizia la raccolta differenziata porta a porta in un territorio vasto della città e partono le prime navi per l'estero, verso città segrete del Nord Europa con cui mi sono personalmente accordato». Confessa l’ex magistrato: «A portarla via nave lassù, spenderemo meno che a smaltirla a Giuliano, comune a 5 chilometri da Napoli perché – s’infervora – abbiamo deciso di eludere le intermediazioni affaristiche e criminali che gestiscono il business». Critiche dure per i lùmbard, «azionisti di maggioranza di questo governo, la cui chiusura è pregiudiziale», lodi sperticate alla ministra Prestigiacomo ed alla «felice collaborazione col governo che ci ha permesso di tamponare l’emergenza». Sempre a proposito del “new deal” napoletano (inaugurato esattamente 84 giorni fa) la promessa è quella di «cancellare per sempre le partecipate dove trionfa la lottizzazione selvaggia, abbiamo accorpato le tre aziende che si occupavano della mobilità pur di rimettere in moto la città». Le cifre fanno paura, 21600 dipendenti tra Palazzo di Città ed aziende comunali, dunque «con quello che hai devi ottenere il massimo». Tutta colpa della Iervolino? «Lei è persona gradevole (che vorrà dire gradevole?). Ma, entrato nella mia stanza a giugno, ho trovato le penne che manco scrivevano: la città non è stata amministrata negli ultimi cinque anni, sulla scrivania del Sindaco c’erano le ragnatele». Oggi, per colpa di un lassismo tollerato e consolidato «abbiamo un numero troppo alta di contravvenzioni stradali non pagate, circa il 70%».

Poi si torna a parlare di politica nobile, e si capisce come i tempi siano cambiati davvero. Sentite qua. «Non voglio che mi cataloghiate come “dipietrista”, a Napoli mi hanno votato dal PD e dal PdL. La gente se ne strafotte dei colori politici, vuole risposte serie ai problemi». Incalza poi Alemanno: «Perché non passiamo dalle buone intenzioni agli atti concreti?». Vola alto l’ex magistrato, cita in un colpo solo Altiero Spinelli ed il manifesto di Ventotene, auspica un’Italia “unità nella diversità”, come recita il broccardo della Comunità Europea. Preferisce dunque «un confronto politico anche con chi si trova in partiti diversi dal mio». Questione seria quella della gestione degli enti locali: il comune di Roma di dipendenti ne ha 62 mila, tre volte quelli di Napoli. «Vogliamo finalmente creare un sistema premiale per cui chi non lavora viene messo alla berlina?». Racconta che, dopo la video denuncia de “le Iene” che avevano sorpreso dei furfanti intenti a ripulire la fontana di Trevi sotto gli occhi “poco vigili” dei poliziotti municipali, «all’assembla che ho convocato con le rappresentanze sindacali, ho rischiato di ritrovarmi io sotto una pioggia di monetine. Ho contestato che le mele marce andrebbero segnalate soprattutto da chi si fa il mazzo per garantire ordine e sicurezza alla Città». Gli fa eco De Magistris: «lancerò la proposta dei premi di produttività». Per capirci, «durante l’emergenza rifiuti, si pagavano ingenti straordinari perché i dipendenti delle ditte di smaltimento erano in coda davanti agli impianti congestionati». Parlano la stessa lingua i due, oggi «servono stimoli alla meritocrazia»: urlano, mentre gli applausi li sovrastano. È comunque show a Cortina, «vogliamo dare linfa nuova alla Città che – si vanta il sindaco – sarà nel 2013 Capitale mondiale delle Culture. A proposito, siete tutti invitati» prosegue allegro, rivolto alla platea ampezzana. «Abbiamo deciso così: tutti i soldi li investiremo in servizi sociali». Obiettivo? Mettere insieme «la solidarietà tipica dei modelli socialisti con la concorrenza, unico strumento di lotta contro gli oligopoli».

Intanto Alemanno si dice pronto a rinunciare all’idiozia degli steccati ideologici, strappando gli applausi più fragorosi. «Prima di parlare di assi o schieramenti, occorre concentrarsi sulle cose concrete. Questo non è il momento in cui ci si possa permettere di anteporre i simboli alle cose indispensabili per il Paese». Ne avrebbe da lamentarsi, considerato il blocco di due miliardi e settecento milioni di trasferimenti ai comuni, «il dieci per cento dei quali solo per la Capitale». Quindi, per ridurre la spesa pubblica, «servono tagli drastici. C'è una proposta dell'Anci di trasformare le Province in unioni di comuni a costo zero, e questo si può fare anche senza una riforma costituzionale. Penso poi che la proposta di Formigoni a proposito delle sette macroregioni (sul modello dei Länder tedeschi, ndr) sia seria giacché permetterebbe un'autonomia più autorevole». L’atmosfera si surriscalda: il primo cittadino della Capitale confessa di guadagnare solo 5 mila euro al mese («che – precisa – è la metà di quanto prende un assessore della Regione Lazio») per sedici ore giornaliere di lavoro. «Ridateci almeno la preferenza», urla dal palco dell’AudiPalace. Prosegue e strizza l’occhio al collega partenopeo: «Credo fortemente in una maggioranza trasversale di persone di buona volontà che si mettono insieme, anche alla luce della situazione di emergenza. Serve realmente un atto di responsabilità che non può più essere rinviato». Qui un De Magistris ispirato cita Gramsci: «Vero: non possiamo recidere la connessione sentimentale col nostro popolo». Per colpa del Porcellum di Calderoli «cinque persone decidono novecento parlamentari, la qual cosa non mi va bene. Sbarramento al cinque per cento e poi confronto: uninominale “secco” o proporzionale con la preferenza».

«Ricostruiamo il feeling tra la politica ed i cittadini» è la promessa all’unisono dei due sindaci sul palco: ha fatto riflettere entrambi la “coesione civica” dimostrata dagli operai che hanno incrociato le braccia, dagli studenti che hanno invaso le strade per contestare la riforma Gelmini e dalle donne del movimento “Se non ora, quando?”. Scintille solo quando si tocca l’argomento servizi: «Il referendum sta bloccando gli investimenti dei privati nel settore idrico, a Roma intanto disperdiamo il 60% dell’acqua. La battaglia è stata strumentalizzata ma comunque era partita male». Finalmente, si scalda De Magistris: «L’acqua non è solo è “di tutti”, ma – rincara la dose – è un bene comune: come internet, l’aria ed il mare». Per questa ragione «abbiamo varato lo statuto dei Beni Comuni, cogliendo la palla al balzo: il referendum infatti è stato un argine democratico a chi avrebbe voluto svendere i diritti alle multinazionali». La replica è dura ma generosa: «non condivido nulla ma stimo Gigi più da sindaco che da magistrato». La favola si conclude con una sorridente stretta di mano in favore di camera, c’è un clima non si capisce se strano o semplicemente nuovo.

PIÙ LAVORO MENO TASSE, RICETTA PER LA RIPRESA
- Audi Palace
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La manovra economica d’emergenza varata dal governo, sotto la pressione della crisi finanziaria, è imperniata sulla riforma del mercato del lavoro e sul riordino del sistema fiscale. Cose di cui si parla da anni con poco risultato. Eppure sono le due leve più importanti per tentare di rilanciare lo sviluppo. Confronto a tutto campo trai big dell’economia tricolore.

Raffaele Bonanni, segretario generale del sindacato Cisl è perentorio: «Si fanno tante, troppe, chiacchiere ma non si arriva al nodo, la politica deve distribuire e non amministrare. Lo ha scritto benissimo Galli della Loggia sul Corriere la scorsa settimana. I nostri politici sanno spendere ma non ottimizzare. La politica ha fatto danni ovunque, abbiamo un impianto politico istituzionale più pletorico d’Europa». Aggiunge: «Non solo ci costano tanto ma sono anche in conflitto tra loro». Incalza: «Gli scioperi generali sono luogo affollato di bandiere e partiti politici. La situazione è stucchevole, solo perché l’estremista Landini pretende uno sciopero generale ogni tre mesi e gli si va dietro. La gente è stufa dei balletti a cui assiste. Mi stupisco che i partiti riformisti non abbiano ancora preso le distanze da certi atteggiamenti».

Giuseppe Bortolussi, segretario CGIA Mestre, autore de “Tassati e Mazziati” (Sperling&Kupfer) definisce i veri problemi nella sua personalissima hit list: precariato diffuso, difficile accesso al credito, esagerati tempi di pagamento, giustizia lenta. «Finora nulla si è fatto per queste questioni». Domenico Arcuri, amministratore delegato Invitalia ammette di assistere ad una crisi generalizzata e dunque non solo italiana. Chiede che si analizzi lo spread tra imposizione fiscale e reddito di ogni cittadino. Cita poi il Capo dello Stato ed il suo richiamo alla lotta all’evasione fiscale. Difende la manovra, utile a correggere il tiro della speculazione che impazza in tutto il mondo.

Claudio Siciliotti, presidente Consiglio Nazionale Commercialisti, si scalda: «i nostri leader sono senza leadership, stanno affrontando la crisi personaggi che ovviamente alle prossime elezioni non otterranno la maggioranza. Che idea di Paese c’è? Se la BCE non avesse recapitato una lettera ai nostri ministri, avremmo trascorso un’estate senza problemi. Perché col sistema di welfare italiano il risparmio privato è alto, eppure siamo ipergarantiti? – chiede retorico. Vuol dire che non ci fidiamo dello Stato. Occorre ridefinire l’idea di Stato, che forse non si dovrebbe occupare d tutto. Bisogna pure alzare l’età pensionabile, condurre una lotta senza quartiere all’evasione fiscale che favorisce il nanismo imprenditoriale del Paese».

Conclude Luigi Brugnaro, presidente di Umana e presidente Confindustria Venezia, sostiene che abolire i piccoli comuni sia inutile e dannoso. Poi si scaglia contro i pavidi che non manifestano la propria opinione. Dice di essere veramente arrabbiato contro una classe politica scelta sulla base delle fedeltà manifestata e non del talento. Chiede uno «Stato diverso per costruire il futuro ai nostri figli, che non si fa per decreto». 
 

CASA, AGRODOLCE CASA
- Audi Palace
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​Il ballo del mattone oggi a Cortina, capitanato da Marco Liera, editorialista Il Sole 24 Ore e fondatore Youinvest.

Gabriella Alemanno, direttore Agenzia del Territorio, ammette: «in Italia si investe ancora tanto nel mattone», cita i dati in suo possesso e si riferisce ad una discrasia tra valore della rendita catastale e valore effettiva. La ricchezza, in termini di valore, è concentrata in una percentuale piccolissima di proprietari, circa il 5 per cento. Con lei si discute dei tristemente noti manufatti fantasmi. Cita vicende tutte italiane, in cui v’è una certa creatività dei proprietari che studiano meccanismi per non accatastare. «Nel 2008 c’è stato il crollo delle compravendite, ma il mercato immobiliare aveva avuto una crescita esponenziale, quindi possiamo anche immaginare che l’aumento sia stato anche giustificato. Nel 2010 avevamo incominciato a immaginare che ci fosse una ripresa nei primi due trimestri, poi nei secondi due non è stato confermato con -2,7% e -4,1%. Nel primo trimestre del 2011 c’è stata un’ulteriore diminuzione del 3,7% e il secondo trimestre sembra confermare la tendenza del primo. Ai primi di ottobre ci sarà una conferenza stampa sul trend del secondo trimestre, ma sembra che la tendenza negativa sia confermata per numero di compravendite. La penalizzazione avviene nei piccoli comuni e nei piccoli capoluoghi, piuttosto che nelle grandi città». Tocca poi a  Paolo Buzzetti, presidente Ance, il quale si lamenta della scarsa repentinità delle misure di rigore. Benedice i rigori che si chiedono alla politica ed all’imprenditoria. Occorre però intervenite sulle città, cita l’obbligo europeo di diminuzione delle emissioni di anidride carbonica. Gran parte del patrimonio immobiliare è vecchio di cinquant’anni e non è mai stato mantenuto. «Ci batteremo per la cedolare secca», promette. Ci si chiede infine se l’immobiliare sia ancora un buon investimento. La risposta è secca. Concordano Giorgio Spaziani Testa, segretario generale Confedilizia, e Mario Breglia, presidente Scenari Immobiliari: «certo!». Tuttavia «il nostro mercato immobiliare è fin troppo piccolo, circa 600 mila scambi all’anno (meno della metà di quello francese, per capirci). Si spende tanto per l’acquisto della prima casa, per chi può, e per il cambio casa dopo molti anni».
 

ALLA RICERCA DI UNA “ITALIA FUTURA”
- Audi Palace
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«Non siamo anti, ma post»: il refrain di tutta la serata sarà questo. Se debba scendere in campo nessuno è ancora in grado di dirlo, anzi: da anni la notizia è ormai mera carambola mediatica da ombrellone accaldato. Tuttavia, a giudicare dagli assembramenti di curiosi che smaniano per salutarlo, un certo seguito lo avrebbe: in maniche di camicia, Luca Cordero di Montemolo arriva in piazzale stazione a Cortina e saluta tutti. Stringe mani e si concede agli obiettivi, mima una colluttazione con l’ubiquo Pizzi da Zagarolo, saluta gli imprenditori accorsi qui. Ressa per aggiudicarsi un posto al sole dell’AudiPalace, tanto che i poliziotti saranno costretti ad allontanare un anziano urlante rimasto senza seggiola. 
 
Serve «un’offerta politica nuova», gli indugi sono rotti, «ci sto riflettendo insieme a tanti altri, abbiamo ricevuto tanto dal Paese ed ora mi sembra il momento di ricambiare. Voglio mobilitare le persone migliori». «Ma – precisa – non è che per parlare di cosa pubblica si debba entrare in politica, però». Legge elettorale demolita in un battibaleno, «tutti la criticano e nessuno la cambia», per questo da settembre Italia Futura – il think tank di cui è ispiratore – chiederà una mobilitazione di tutti i cittadini. Gli Italiani, secondo il past president di Confindustria, «non son fatti per mettere crocette, devono poter decidere da chi farsi rappresentare. Per colpa di questo sistema, abbiamo in Parlamento persone buone a nulla e pronte a tutto». «Massimo sostegno al governo perché faccia le riforme», questa la premessa, «d’altronde l’emergenza aiuta a prendere decisioni coraggiose». «Altrimenti – ed è un avverbio strillato e grande quanto una casa – meglio andare subito alle elezioni visto che il Paese rischia un’agonia perniciosa». Parte quindi con l’appello ai “responsabili” di tutte le coalizioni: si recuperi la cultura della condivisione, giacché serve unità non solo geografica, ma anche di cuori. Non segue una traccia precisa, anzi si sfoga: «Assisto troppo spesso alla difesa del monopolio consolidato ed alla miopia di certi ministri che han troppa nostalgia dell’IRI» – a proposito della fin troppo osteggiata iniziativa imprenditoriale NTV di cui è capitano. Le agenzie di rating, in patente conflitto di interessi, «andrebbero chiuse per legge». Noi italiani, però, «siamo più deboli degli altri per la nostra incapacità di prendere decisioni strutturali». Secondo Montezemolo, paghiamo gli effetti di un governo litigioso al proprio interno, «dico io: dove siamo arrivati?».

Si scalda subito: «Serve pure una nuova “operazione verità”: son stati anni di fallimento finora, dopo la guerra c’era un Paese povero in concorrenza con Germania, USA e Giappone. Oggi l’Italia è molto indietro». Poi parla di ricerca e del “suo” Telethon, la maratona di solidarietà cui ha scelto di dedicare le proprie energie. Si rivolge ad una non meglio identificata “società civile” affinché «esca dall’anonimato del particolare e si dedichi alla costruzione di una nuova infrastruttura pubblica». Cita, per essere più concreto, forze dell’ordine, medici, militari come esempi di laboriosa onestà. Insiste sul fallimento dell’attuale classe dirigente e sostiene che il Paese sia nel bel mezzo della fine di un ciclo politico, «dato di fatto incontestabile». Evoca più volte la fase del Dopoguerra auspicando uno scenario di «ricostruzione del bene comune, come allora», chiede «un sacrificio serio» e si augura che «lo Stato dica dove vanno a finire i soldi delle tasse: non si possono tollerare prelievo fiscale altissimo e sistema welfaristico scarso». Obiettivi in agenda: ridurre il debito pubblico, perché «abbiamo un’automobile debole (la politica, fuor di metafora) troppo invasiva e scassata. Chiunque sia il pilota, fosse pure Nembo Kid, devo costarci meno. Oggi, se volete un esempio, vedo il proliferare di Consigli di Amministrazione, talvolta più folti dei dipendenti della società stessa, realizzati al solo fine di piazzare politici trombati. Mi ribello!». Urla ed incassa l’applauso della platea di Cortina InConTra.

«La poca “eticità” è un vizio comune», dice, e ricorda il caso Penati lamentandosi di esser stato anni addietro cassandra sull’acquisto screanzato di pacchetti azionari da parte dell’ente provinciale. Pontifica. «Uno stavo davvero liberale deve concretarsi sul core business della propria attività». Sorride: «Oggi la vera differenza non è tra destra e sinistra ma tra populisti e riformisti. Tra chi ha capito che dobbiamo cambiare rotta e chi rimane abbarbicato ad un passato fallimentare». Poi non si sottrae alle domande sulla credibilità del Palazzo: «Va riconosciuto che nel PdL molte voci si sono levate per migliorare in senso liberale la manovra. Al contrario nel PD tutto tace. Posizioni ideologiche, il no alla riforma delle pensioni, o peggio irrealizzabili, la ritassazione di chi ha riportato in Italia i capitali dello scudo (che peraltro significa cambiare le regole della partita durante il gioco), dimostrano una notevole confusione. Quello che più sorprende è che i riformisti del PD tacciono. La Lega poi sembra diventata Rifondazione Comunista al tempo del Governo Prodi con in più comportamenti, linguaggi e atteggiamenti inaccettabili per chi ha incarichi di Governo. Eppure anche nel Carroccio c’è chi capisce che questo modo di partecipare al Governo è irresponsabile. Lo sforzo che tutti dobbiamo fare, indipendentemente da chi abbiamo votato o chi ci proponiamo di votare, è rafforzare queste componenti moderate e riformiste oggi disperse. Se vinceranno i populismi, di destra o di sinistra, per l’Italia non ci sarà più speranza».

Bisogna essere chiari, i taccuini sono in agguato. «Quello che ho detto – prova a dichiarare a favore di agenzia – è che il risanamento delle finanze compete per l’80% allo Stato e per il 20% ai cittadini. Occorre dismettere tutto Rai, Poste, municipalizzate, immobili pubblici e tagliare veramente e da subito i costi della politica. Prima vendete la Rai poi venite a chiedere soldi». Una estesa tassa patrimoniale sullo Stato è «indispensabile prima di mettere le mani nelle tasche». Bisogna però chiedere sacrifici ai cittadini, parla da leader Montezemolo e dice più volte “noi di ItaliaFutura”: «Abbiamo proposto una riforma delle pensioni che porti l’età pensionabile a 67 anni, abolisca le pensioni di anzianità, equipari uomini e donne. Attenzione, mette in guardia: «evitando ogni demagogia, chi ha un patrimonio se l’è guadagnato e spesso ha pagato tasse esorbitanti sul proprio reddito. Essere benestanti non ha alcuna connotazione negativa, al contrario vuol dire aver avuto successo e aver contribuito allo sviluppo del paese. Abbiamo cercato di restringere la platea ha chi ha davvero la possibilità di pagare. E, a questo proposito, qualunque altra patrimoniale, che non sia limitata alle grandi fortune, e anche con aliquote progressive, sarebbe del tutto inaccettabile». Qui legge la proposta: «Un’aliquota dello 0,5% sulle fortune superiori a 10 milioni di euro attraverso un’autocertificazione del patrimonio è più che sufficiente per coprire il gettito dell'iniqua tassa sui redditi altri. Dal calcolo dei beni saranno escluse le partecipazioni in aziende non quotate per evitare di danneggiare i piccoli imprenditori che hanno il proprio patrimonio investito in azienda».

A chi gli legge l’ultima dichiarazione dell’accaldato ministro per la Semplificazione Calderoli, secondo cui «i Montezemolo sono scorregge di umanità che non hanno mai lavorato in vita loro», il presidente di ItaliaFutura non si scompone: «dover rispondere a Calderoli è proprio troppo nella vita, non vado così in basso. So per certo però che, con i suoi deliri, mette in imbarazzo tanti esponenti perbene della Lega». Applauso scrosciante ed aperitivo con gli imprenditori veneti che lo attendono al varco. Un motto vince su tutti: “estote parati”.

MA QUANTO VA LA BARCA DI ORIETTA
- Audi Palace
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Orietta Berti, cantante, donna, ribelle, spensierata: cinquantadue album pubblicati, 11 partecipazioni al Festival di Sanremo, 15 milioni di dischi venduti, 4 dischi d’oro, un disco di platino e due d’argento (se vi piacciono i numeri). Storia del presente, non solo del passato. Altro che “Finchè la barca va” (e ce ne servirebbero, di barche, per via del diluvio che spazza Cortina), quella di Orietta Berti è una nave del successo che non si ferma mai. Faccia acqua e sapone, mai sopra le righe, mai sopra le rughe. Se Orietta sia davvero una delle regine della canzone italiana più longeve proviamo a scoprire in compagnia del giornalista e autore televisivo, Marino Bartoletti. Ai nostri microfoni si confida e si confessa. Accenna qualche nota di “Tu sei quello”.

«Avevo una paura tremenda del palco - dice - debuttai a 12 anni in una recita popolare del mio paese. Quando mio papà mi portava ai concorsi, non usciva la voce, tremavo, ero sempre molto emozionata». L’esordio, con “Il cielo in una stanza”, prima a un concorso, a pari merito con Iva Zanicchi, sua compaesana. Tra gli amici di una vita, «uno dei pochi di cui ho il numero di telefono», Gianni Morandi. Ma l’esperienza di Orietta Berti ha sconfinato anche nel cinema e nella fiction, ma anche nei fotoromanzi, insieme a Mike Buongiorno per cui «facevo sempre la donna abbandonata, la domestica, la commessa». E su Mike aggiunge: «Una persona simpaticissima, che quando faceva una cosa nuova mi chiamava sempre. Controllava tutto, in ogni dettaglio».
Una perla per concludere: «Non ho mai avuto dubbi sulle canzoni che ho cantato, l’ho fatto sempre con entusiasmo».


GRAZIE, ROMA
- Audi Palace
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​Salemi è la “capitale di un sogno”, a sentire l’onorevole sindaco Vittorio Sgarbi. «Sta all'Unità d'Italia come il concepimento al parto, da lì è partito (o partorito tutto) tutto: per questo abbiamo festeggiato proprio lì un anno prima l’Unità, alla presenza di Napolitano e di sua moglie Clio». Critico a tutto campo, poi difende le ragazze che solevano intrattenersi nelle stanze del premier: «Rispettiamo le donne ed il loro coito». Attacca l’arte contemporanea “fatta da capre” e spernacchiata dall’indimenticato attore romano: «è una sedia, come racconta Alberto Sordi, ma quella sedia è del custode: è stata solo spostata. Eppure degli appassionati perfettini di nazionalità canadese avevano scambiato la donna Cesira, assisa ed addormentata, per un capolavoro». Racconta Caravaggio: primo fotografo dell’arte. «Fa vedere la realtà, non l’idea della realtà».

L’autore de “Le meraviglie di Roma” (Bompiani) intrattiene il pubblico dell'Audi Palace anche su temi di attualità urlando: «Nessun cinese potrà far da noi quello che la Cina ha fatto in America. I cinesi potranno comprare il debito Usa perché gli americani, diciamolo, sono dei selvaggi. Quando i presidenti americani andavano a far visita al Papa polacco li si vedeva – tutti: Reagan, Bush, Clinton – camminare come pistoleri, con questa falcata di gente che viene da una campagna irredimibile, perfino Rutelli avrebbe avuto più stile di loro. Saranno anche ricchi, ma questa crisi che gli capita adesso, adesso che erano arrivati ad avere la grande innovazione del presidente nero, è segno che quel che tutto quel che hanno fatto si può riprodurre e comprare. Invece nessun cinese potrà comprare il debito di Leonardo, Michelangelo, Antonello, qui non c'è debito, c'è solo credito. Poi i nostri governanti non lo capiscono, perché sono ignoranti come capre, perché sono affetti da nanismo: ma non veneziano, mentale».

Motteggia: «la donna ha due difetti, è una sola e la conosco già». Ancora: «Ciò rende bello un libro è che vive in dimensione orizzontale, in verticale è morto». Attacca a muso duro l’architetto Fuksas, progettista del mega palazzo. Poi corregge il tiro, dacché «non è polemica la mia, è una serena considerazione». L'architetto Fuksas ha avuto dalla giunta regionale piemontese della Bresso, confermata poi da Cota, 22 milioni di euro per progettare un palazzo che ne costerà 220. «Ma come si fa? È un insopportabile assurdo». Conclude: «E qual è la motivazione di questi nani? Quella che vogliono riunire tutti gli assessorati, come se fosse utile – ha aggiunto Sgarbi. Ma che bisogno c'é che stiano insieme? Già valgono poco da soli e spendiamo 220 milioni di euro perché i cittadini li trovino insieme. Che logica è? Sono pazzi, sono stolti» - ha concluso

Quanto all’ultimo libro, la parola “meraviglie” intende un riferimento alle prime guide di Roma chiamate “mirabilia Urbis”, non tanto cose che suscitano meraviglia. Le meraviglie di Roma, conclude, «per noi, per voi». Per sempre.

Fuori i soldi
- Audi Palace
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Nonostante il nubifragio inclemente coi vacanzieri ampezzani, la kermesse prosegue e dibatte di banche e stabilità. La conferenza dal titolo “Fuori i soldi” ha come relatori personaggi di prim’ordine dell’economia italiana.

Antonio Vigni, il direttore generale di Monte dei Paschi di Siena, ha ricordato: «Nella settimana nera di Lehmann, MPS ha visto incrementare i depositi. Se sommiamo “debito complessivo” e “settore privato”, siamo ampiamente in linea con paesi come la Francia – ha proseguito – le banche italiane sono solide, hanno superato bene gli stress test. Ad alcune di loro è stato chiesto di aumentare il capitale e queste l’hanno fatto nonostante il periodo difficilissimo. Il giudizio delle società di rating è positivo, se paragonato a quello di altri Paesi. Giornate come queste non devono essere utilizzate per scelte di investimenti, ovvio. Sul versante internazionale, conta la fiducia tra tutti, a partire dalla fiducia tra banche, e riguarda i rapporti con le grandi istituzioni come la Bce». Ha poi aggiunto il DG di MPS: «Le banche italiane stanno superando la crisi proprio perché avevano la più bassa percentuale in Europa legati ai titoli tossici. In questo periodo abbiamo pensato a finanziare le nostre aziende. Il nostro attivo è costituito dal 62% da prestiti, Inghilterra, Francia e Germania poco sopra il 30%. Basilea 3 – pronostica – produrrà un restringimento, ma le banche e le imprese sono sulla stessa barca. Il bilancio è costituito in larga parte da prestiti e in misura minore in titoli di stato italiani nei quali continuiamo a credere. Il debito sovrano è un problema, ma deve crescere la fiducia sia sulle manovre in corso, che dovranno conciliare la riduzione del debito e la crescita (non possiamo correre il rischio che le manovre incidano sulla crescita, ma occorrono fattori correttivi sulla spesa inutile), perché tagliare e incidere solo su una parte può avere effetti recessivi».

Riccardo Bruno, senior partner Clessidra, ha proposto una distinzione: «Perché è vero che viviamo una crisi. Ma l’Italia è caratterizzata da un sistema di aziende molto effervescente e dinamico. Noi nell’ultimo anno abbiamo vissuto una qualità netta di ripartizione tra le aziende: quelle orientate all’export che arrivano a realizzare fatturati importanti e hanno una crescita concreta; dall’altro, quelle che guardano al solo mercato italiano sono in sofferenza. Come si fa ad aiutare le aziende che hanno capacità di crescere a sfruttare le opportunità di crescita?».

Incalzato dalle domande di Sergio Luciano, partner di “InConTra”, Alberto Tripi, presidente Almaviva oltre che delegato di Confindustria per servizi e tecnologie ha sostenuto: «Non è che i soldi si perdano. La speculazione vuol dire che qualcuno ha preso nel suo portafoglio parecchi miliardi e qualcuno è diminuito di una cifra pari. La caduta delle borse è un sintomo del malessere, perché nel caso si registri una crescita gli speculatori non possono farlo. Ed è proprio questo il punto. Se non c’è crescita, le nostre aziende soffrono, ma non per i parametri di borsa. Ma perché, se la crescita è inferiore del 2% annuo, c’è un aumento della disoccupazione. Perché si sta verificando questo? Le politiche fiscali influenzano in maniera drammatica del conto economico di un’azienda (che è lo specchio dello sviluppo di un’impresa). Facciamo un fatturato lordo di circa 900 milioni di euro. Di questi 900, paghiamo circa 130 di iva, 16 di tasse, 150 tasse per i lavoratori. Alla fine il nostro utile netto è 8 milioni. Se rinunciamo ai nostri dividendi possiamo investire 8 milioni, che è poca roba. La banca invece valorizza il patrimonio. Secondo Basilea ormai è importante che una banca abbia patrimonio, cioè beni materiali. Se voi vedete, l’azienda ideale sarebbe un’azienda che ha poco personale, che investe poco, che ha molto patrimonio. Quindi, un’azienda senza dipendenti, fattura 1 euro all’anno, e ha in cassaforte un milione di euro. Se andiamo a premiare gli hedge fund, difficilmente il sistema industriale può avere un grande sviluppo».

I 99 GIORNI CHE TRAVOLSERO IL CAVALIERE
- Audi Palace
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​La platea ampezzana ha sete di notizie, ed invade l’AudiPalace per sentire dalla viva voce di noti editorialisti del Belpaese. Alessandro Sallusti, direttore de il Giornale, appena salito sul placo e subito dopo l’intervento dell’ex ministro dell’Economia, attacca: «Il responsabile del debito pubblico non è Berlusconi, ma Cirino Pomicino, Ciampi e gli altri campioni della Prima Repubblica». Non costa niente emozionarsi e salire sul palco per celebrare i 150 anni, ma «non dimentichiamoci che Napolitano è comunista», aggiunge. E non si ferma: «Mettere il Paese in mano a persone che si dimenticano di Scilipoti sarebbe pericolosissimo. I complotti per abbattere il berlusconismo ci sono dal ‘94 e sono in corso tuttora e si nascondono dietro questo grande spettro della crisi. Dietro un problema che non è italiano, si cercherà per l’ennesima volta di dare una spallata a Berlusconi e al berlusconismo. La Lega sta giocando un ruolo sempre più pericoloso, tanto che al momento mi fa più paura Maroni di Wall Street. Bossi non coincide più con la Lega e viceversa».

Conferma con qualche distinguo il direttore de il Tempo, Mario Sechi: «Sottovalutare Berlusconi è l’errore più grande che si possa fare. Se lo dai per morto, ti salta addosso e ti succhia anche il sangue. C’è una verità enorme, cioè che la sinistra non ha un candidato. Il centro non esiste se c’è questo sistema politico ed elettorale». Si chiede retorico: «Il Terzo Polo esiste davvero?». Prosegue: «Napolitano è l’unica speranza che ha il Pd, anche se ci sono i presupposti per cui faccia un altro mandato. Ma è l’uomo che può ricostruire il Partito Democratico, che era la fusione di post-comunisti e post-democristiani. Ignorare il fatto che la crisi sia internazionale è veramente esecrabile. Abbiamo un sistema pubblico inefficiente; ma la vera sfida è quella di cominciare a riaprire il mercato politico. Il grande errore di Berlusconi è stato quello di chiudere il mercato della politica, del consenso, dei candidati. Basta col parlamento dei nominati”.

L’onorevole e tanto altro ancora, un cursus honorum davvero invidiabile alle sue spalle, Paolo Cirino Pomicino reagisce alle accusa: «Sallusti critica me e sono disposto a fare la parte del cattivo, anche se -quando parla- si fa fatica a capire chi sia il buono e chi il cattivo. Nel 1992 abbiamo azzerato la bilancia tra avanzo e disavanzo primario, e nel ‘93 avevamo lo 0,6% di attivo. Oggi, a 19 anni di distanza, l’avanzo primario è inferiore a quello del ‘92, il rapporto tra debito pubblico e PIL è al 120% contro il 98,5% di quando ero ministro io e dal ‘95 non cresciamo più. Negli ultimi dieci anni l’Italia è cresciuta del 3%, la Francia del 12%». Debutta sul palco di Cortina InConTra il neo direttore de l’Unità, Sardo: «La crisi sistemica che attanaglia l’Italia ha un inizio lontano, negli anni ’80, quando abbiamo accumulato uno stock di debito importante. Però va anche sottolineato come negli anni a seguire, soprattutto negli ultimi dieci – che io non considero da gettare via, ma come esemplificativi di un momento difficile del nostro Paese – il debito sia aumentato in modo importante soprattutto sotto i governi di centrodestra».


TRIESTE, ITALIA
- Audi Palace
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​Trieste è uno dei luoghi più belli e aspri d’Italia, in cui mare e rocce sembrano fondersi in un unico abbraccio. Questa la premessa del nostro incontro serale del mercoledì, serata struggente e partecipata in cui la rievocazione spesso lascia il posto alla commozione. La conduzione di Giuseppe Marchetti Tricamo, direttore di “Leggere Tutti” e coautore (con Tarquinio Maiorino e Andrea Zagami) de “L’Italia s’è desta. La vera storia dell’Inno di Mameli e del Tricolore” (edito da Cairo) è dolce ed appassionata. Strabiliante nel chiedere e grande nell’ascoltare. La sua introduzione è dolce e melanconica tanto che, sebbene Trieste già nel nome sia l’anagramma di “è triste”, dopo le dichiarazioni d’amore di questa sera vien voglia di andarci a vivere.

Giampiero Mughini, l’eccentrico editorialista, autore de “In una città atta agli eroi e ai suicidi. Trieste e il caso Svevo” (Bompiani) oggi è inspiegabilmente cauto e quieto, come non ve lo immaginereste neppure. Spiega le ragioni della sua passione per la città spazzata dalla bora e, a proposito delle foto di Berengo Gardin di cui vi diremo, cita l’aforisma di uno dei tanti direttori de l’Espresso secondo cui “un articolo si guarda, mentre una foto si legge”. È perentorio: «questo Paese è sull’orlo dell’abisso. Non sono rambo e dunque non so come parare i danni. Questo governo, trai peggiori della Storia, ha proposto una serie di voci tra cui alcune di interessanti. Detesto chi prova difendere dei privilegi acquisiti adducendo come giustificazioni le più varie». Per Mughini Trieste è «l’ambiguità e la contraddizione senza cui non c’è la vita». C’è stato poco nella città essendo siciliano di nascita e romano d’adozione, eppure spiega: «Vittorini e Kafka hanno scritto libri immensi sul Nuovo Continente senza mai aver messo piede in America».

Confessa poi di vedere l’Italia in bianco e nero, Gianni Berengo Gardin, fotografo e autore de “Gente di Milano” (24 ORE Cultura). Mughini definisce i suoi scatti «una realtà metafisica», la sua camera mira ad un oggetto definito ma finisce per trovar il Dio infinito, «o quasi», scherza. Evoca i maestri americani cui si è ispirato per la propria arte su pellicola e si lagna per l’assenza di industriali illuminati come ai tempi di Olivetti. «Troppi Berlusconi oggi e pochi Olivetti».


Giorgio Pressburger, scrittore e drammaturgo, spiega: «se esiste qualcosa di simile al destino, ecco: il mio è quello d vivere a Trieste, oggi credo di poter dire di conoscere tutti i triestini». Racconta della sua partecipazione al Festival del Cinema di Venezia grazie ad un film (in gergo tecnico un “monodramma”) ispirato ad libro scritto Claudio Magris, confessa che «mi batte il cuore come quando per la prima volta ho messo piede alla Scala, pensando che calcavo il pavimento che aveva visto trionfare grandi della musica come Giuseppe Verdi». Quanto all’abolizione della provincia di Trieste, sebbene sia nato a Budapest, si dice fortemente contrario: «l’ente locale si rende necessario per via delle inefficienze della Regione e perché quel territorio fa da cerniera tra due mondi». Il direttore Marchetti Tricamo chiede a Pressburger di descrivere la città del cuore con una parola. “Volentieri” la risposta, ecco come spiazzare il pubblico di Cortina InConTra in una sola mossa.

Aveva gli occhi dell'amore
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​Lectio magistralis di Flavio Caroli, quasi un volo attraverso secoli di arte e di bello. La donna ed, in genere, le tante figure femminili, rappresentate nel corso della storia dell’arte italiana e non, sono protagoniste della serata di martedì 16 agosto all’AudiPalace di Cortina. Caroli, dopo la specializzazione in Storia dell’Arte, ha iniziato la carriera accademica, che lo ha portato poi al Politecnico di Milano quale professore associato, quindi all’Università di Salerno e a quella di Firenze. È oggi ordinario di Storia dell’Arte Moderna presso la facoltà di Architettura del Politecnico di Milano e tiene un corso della stessa materia presso lo IULM. È cortese, arriva puntuale e si dice fiero della fila di spettatori assiepati davanti all’ingresso della struttura di InConTra.

Grandi opere d’arte da Picasso ad Hayez, fino ai giorni nostri. Sul filo della delicatezza, scorrono grandi capolavori pittorici tra la grazia, l’erotismo e la giovinezza. Le parole del critico sono lievi e caute, più volte annunciano di aver scartato delle opere perché forse poco caste. Rievoca momenti delle vite di grandi artisti. «Ognuno di noi ha dei buchi nell’anima e nella psiche, talvolta qualcun altro giunge a chiudere quei fori facendo sì che alberghi la felicità nel rapporto di due persone che si amano». Grande successo di pubblico ed applauso a scena aperta per il critico che si intrattiene a margine dell’incontro per le dediche e gli autografi ai tanti appassionati che maneggiano il libro.

Si chiude col mito di Giuditta ed Oloferne, rappresentato nell’opera di Gustave Klimt del 1901: la felicità, la soddisfazione – per non parlare del piacere – della donna che brandisce la testa mozza del compagno sono connesse alla “scoperta” della psicanalisi da parte di Freud. Amore e morte come vicenda ianria di ogni esistenza.

SVEGLIATEVI, È PRIMAVERA
- Audi Palace
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​Il pianista Ramin Bahrami chiamato a discutere degli sviluppi recenti di quella che le cronache hanno definito la “primavera araba” esalta la figura del suo ispiratore: Bach. Si esibisce al pianoforte, regalando al pubblico una canzonetta tipica iraniana. E loda il Maestro che, a suo dire, ha fatto sì che la polifonia non divenisse “comunismo”. Domenico Fisichella, già vicepresidente Senato e ministro Beni culturali, cita Machiavelli e spiega come in Europa vi siano molti più ordinamenti politici rispetto al vicino mondo arabo. «È il suo tomento ed il suo vanto, che ha garantito al continente storia e libertà. Cita il caso tedesco e francese, «le democrazie son realtà così delicate che meritano tanta cautela ed attenzione alle garanzie di tutela dei diritti umani. Ma non dobbiamo pensare che i diritti umani presuppongano la democrazia nella sua forma più sviluppata».

Carlo Jean, esperto di strategie militari e geopolitica, autore de “Intelligence economica” (Rubbettino), a proposito del futuro dello stato di Israele dice: «laggiù non hanno le idee chiare». Poi prosegue: «la colonizzazione europea fatta nel come del “fratello dell’uomo bianco” ha cagionato non pochi problemi, oggi gli americani sono allo sbando e – di conseguenza – anche noi, da sembre abituati all’emulazione, siamo in affanno». Stefano Dambruoso, responsabile delle attività internazionali per il Ministero della Giustizia, definisce ‘terrorista’ il dittatore Gheddafi e parla del progetto di una Schengen mediterranea. Spiega inoltre che nel prossimo suo libro in uscita, dal titolo “un instante prima”, si tratterà del ruolo degli USA all’indomani dell’11 settembre e di come affrontare le emergenze, evitando allarmismi e psicosi.

MAGISTRATURA-POLITICA, QUANDO FINISCE LA GUERRA?
- Audi Palace
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​Lunedì di Ferragosto dedicato ad un tema scottante, quello degli intrecci tra magistratura e politica: pubblico interessiamo ed ospiti preziosi.

Maria Elisabetta Alberti Casellati, sottosegretario alla Giustizia, si augura di poter ricostruire il ruolo della giustizia. «C’è una necessità di riequilibrio tra poteri dello stato e c’è una necessità di parità tra accusa e difesa e di un diverso rapporto tra pubblico ministero e polizia giudiziaria. La nostra riforma della giustizia introdurrà la responsabilità dei magistrati, altro tema che, dopo il referendum, era stato ammorbidito da una legge. Spesso quando parliamo di riforma della giustizia ci soffermiamo sulle prerogative del magistrato, dimenticando che non è il fine, ma il mezzo del sistema giustizia. Al contrario di quanto è stato detto in modo aprioristico, la nostra riforma non è contro la magistratura. Anzi, ci piacerebbe costruirla insieme attorno ad un tavolo. Serve ai cittadini. Forse abbiamo iniziato tardi – ammette la senatrice del Pdl – visto che abbiamo preferito cominciare dalla giustizia civile che ha un rilievo economico importantissimo. La lentezza della giustizia civile incide molto sull’imprenditoria, specie piccola e media perché il ritardo del recupero di crediti può portare perfino alla morte dell’impresa. Sono d’accordo sulla separazione delle carriere; è nel nostro programma ed è essenziale proprio per realizzare quel giusto processo che mette sullo stesso piano la difesa e l’accusa. Anche questo fa parte del nostro programma e lo vogliamo realizzare». Oggi, giorno di festa è anche tempo di riflettere sulla condizione dei detenuti. «Pensiamo a varie misure perché il problema delle carceri esiste ed è grave, risolverlo con l’indulto o l’amnistia sarebbe il modo più semplice ma meno efficace. Abbiamo scelto la via strutturale: nuove carceri; eppoi convenzioni con l’Europa per cui ognuno sconti nel proprio paese la pena; misure alternative e depenalizzazione».

Antonio Ingroia è un onesto cortese. Il procuratore aggiunto della Procura distrettuale antimafia di Palermo, ed autore per Il Saggiatore de “Nel labirinto degli dèi. Storie di mafia e antimafia” discute della sa esperienza e mette in guardia dall’emergenza delle mafie finanziarie, oggi attivissime sul territorio nazionale. Ha esordito: «La nostra giustizia ha bisogno di una riforma. Se dobbiamo guardare a quelle che sono le esigenze dei cittadini, non c’è dubbio che è fondamentale per i cittadini avere una giustizia che sia efficiente e che funzioni. La riforma del Governo è una riforma che premia la categoria di cittadini che ha qualche difficoltà con la giustizia – allude il magistrato. L’obiettivo primario invece dovrebbe essere quello della ragionevolezza dei tempi: ebbene, non c’è nulla all’orizzonte che miri alla riduzione dei tempi processuali. La riforma della giustizia si propone invece di rifare l’architettura antecedenti alle modifiche dell’89, in base a un’idea che io considero non vera, che si debbano riequilibrare i poteri di fronte allo strapotere della magistratura.

Carlo Nordio, procuratore aggiunto Venezia, si definisce un magistrato dissidente, nel senso che «non sono sulla stessa linea di molti altri colleghi. Su molte cose però sono d’accordo con Ingroia. Nel 1989 abbiamo introdotto il processo alla Perry Mason, all’americana. Nel processo americano ci sono delle regole, se non le si applicano è come avere una Ferrari con il motore di una 500. L’attuale processo penale, quindi, funziona con: separazione delle carriere, non obbligatorietà dell’azione penale, differenza tra il giudice del fatto e il giudice del diritto, diversi rapporti tra pm e polizia giudiziaria». Ha proseguito: «Non avendo applicato nessuno di questi principi, il processo penale va a rotoli in Italia. La riforma epocale è però difficilmente attuabile per il conflitto tra magistratura e politica nato nel periodo di Tangentopoli; dal fatto che l’Italia è divisa tra chi pensa che Berlusconi faccia le leggi per sfuggire alla magistratura e chi pensa che la magistratura cerchi di impallinare Berlusconi».


Il presidente emerito Corte Costituzionale Piero Alberto Capotosti, si è detto convinto che «i nostri codici risalgono agli anni ‘40. Abbiamo fatto delle modifiche, ma essi continuano a risalire a un’altra società. È l’impianto di fondo che andrebbe rivisto. Quello che non ha funzionato è l’aver voluto introdurre il processo all’americana nella nostra cultura, a fronte di una Costituzione che non lo prevedeva affatto. Si è creato una discrasia tra la Costituzione del ’48 e il nuovo codice di procedura penale dell’89. L’attuale processo penale è un modello ibrido, frutto anche di alcune modifiche della Corte Costituzionale. I nostri Costituenti sono sempre stati molto saggi e avevano previsto l’autorizzazione a procedere. È stato smantellato dal ‘93 con l’autorizzazione a procedere. Ci si divide sempre tra innocentisti e colpevolisti nei processi penali. Se a questa naturale e fisiologica distinzione si aggiunge l’elemento che l’imputato è un uomo politico, tutta questa dialettica viene caricata di ulteriori significati ideologici. L’attenzione si alza, e a questo punto c’è il sospetto reciproco da una parte e dall’altra. Innocentisti e colpevolisti hanno un elemento in più, cioè il fatto che vi sia in ballo un uomo politico».


RACCONTARE L’ITALIA
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​Forfait imprevisto di Enrico Mentana, ma la macchina di InConTra non si ferma mica. File lunghe metri davanti l’ingresso della tensostruttura ampezzana, pubblico assiepato sulle poltroncine rosse. Arriva puntuale Bruno Vespa e l’applauso è tutto per lui. Lo storico anchorman Rai si dice da sempre favorevole alla concorrenza, per questo si augura che presto il “carrozzone” venga messo sul mercato. Commenta il successo del nuovo Tg guidato da Enrico Mentana, cui arrivano i complimenti dei due editorialisti sul palco. Qualche fendente, invece, viene scagliato contro Michele Santoro, «grande professionista, ma ossessionato dall’idea di dover demolire scientificamente e quotidianamente una sola persona». Poi parla delle proprie abitudini in materia di informazione: «Comincio ad ascoltare i titoli del Tg1 e poi passo al Tg di Mentana», sorrisi divertiti in sala.

Bruno Vespa ha sostenuto di essere parzialmente favorevole all’ingresso dei privati in RAI. «Sono d’accordo al loro ingresso minoritario – al massimo al 40% – perché saprebbero cambiare in meglio il CdA. Ma l’idea che un grande compratore diventi unico proprietario della Rai, a mio giudizio, metterebbe seriamente a rischio l’indipendenza dalla politica. Se già oggi un titolo de ‘La Repubblica’ desta scompiglio, immaginatevi che cosa succederebbe se quelle stesse cose venissero dette al Tg1. Non parlo solo di De Benedetti, ma anche Rizzoli o qualsiasi altro grande gruppo non farebbe bene alla Rai». Ha proseguito: «Non è vero, come hanno detto, che è cambiato il mondo negli ultimi tempi, è vero invece che è cambiata l’Italia, cioè che la nostra vulnerabilità è apparsa in tutta la sua evidenza perché noi da almeno 15 anni non siamo cambiati. Nessun governo è riuscito a fare la rivoluzione italiana. La responsabilità di Berlusconi è più forte perché è entrato in politica per fare questa rivoluzione. Non avendo mai avuto il 51%, ha sempre dato la colpa a qualcuno che non gliela faceva fare: Casini, Fini. Ora è Bossi? La verità è che non ha ancora mai messo gli attributi sul tavolo. Le circostanze internazionali hanno messo la classe politica nella condizione di dover fare quello che non ha mai fatto. Il problema delle province, per esempio, fu sollevato nel 1970 da Ugo La Malfa. Berlusconi ha la possibilità – ma non so se la sfrutterà – di essere costretto a fare quella rivoluzione. Sulle province, possiamo usare i dipendenti in modo molto più efficace; di che cosa hanno paura le province? Non andrebbero mica a toglier loro i gonfaloni, semplicemente non avrebbero più questa istituzione inutile».

Non si è risparmiato Vespa, rispondendo senza esitazione alle domande del padrone di casa Enrico Cisnetto: «Mi delude la distribuzione dei pesi sulla tassa di solidarietà. In questo benedetto Paese solo 71890 persone denunciano più di 200.000 euro all’anno, circa 10.000 euro al mese netti. È giusto che su 41.000.000 di contribuenti, paghino solo 500.000 persone? Io non sono favorevole alle patrimoniali, ma francamente – quanto al comune di Milano – su 990.000 contribuenti, 960.000 dichiarano meno di 90.000 euro lordi e ci sono 415.000 persone che vivono sotto la soglia di povertà. Come mai non hanno bruciato il Duomo? Forse perché hanno mentito nella dichiarazione. In Italia esistono 3 milioni e mezzo di seconde case, 1000 euro per ogni casa sono 3,5 miliardi. Sarebbe giusto fare un mix tra redditi e patrimonio, una piccolissima cosa, elemosine. Ma significherebbe molto. Con un tasso di evasione così vergognoso, non è una manovra equa”. La manovra che si apprestano a varare dal Governo sono certo che rimarrà invariata, ma sono curioso di capire che cosa contiene esattamente. Questa volta siamo veramente costretti a farla, non è la solita, semplice manovra finanziaria che viene fatta ogni anno. A me risulta che la tassa di solidarietà varrà meno di un miliardo. O la tassa di solidarietà ce l’avremo per sempre, oppure sarà congiunturale: mettere mano alle pensioni sarebbe stato un intervento strutturale. Quelli del PdL che si stanno mobilitando mostrano l’umore dell’elettorato. Che è anche quello che sta dipingendo Libero. In parlamento delle cose succederanno, ne sono certo, anche perché quei parlamentari si muovono solo dopo aver ricevuto l’autorizzazione del Cavaliere».

«La patrimoniale mi spaventa un pochino - osserva Vespa - Amato dice che se siamo 60 milioni, 20 milioni devono pagare di più. Io ci sto, ma molti altri no. Berlusconi si era studiato questo dossier. Stavolta, come a luglio, lui non ha fatto il sottosegretario di Tremonti, ma il premier. I vincoli sono ancora molto forti. Io trovo indecente caricare tutto il peso sul reddito e niente sul patrimonio, trovo che anche a giocare con piccolissime cifre si può fare una cosa più equilibrata». Ha proseguito: «La figura di Draghi è stata più determinante per questa manovra di quella dello stesso Tremonti. Quando finalmente Berlusconi è riuscito ad avere un dialogo con Draghi, che sarà il prossimo governatore della Bce, non solo di Bankitalia, la manovra ha avuto un’accelerata importante. Se Tremonti a settembre dovesse andarsene, sarebbe una perdita - giacché è una persona eccezionale - ma non una catastrofe, visto il nuovo dialogo instaurato tra Berlusconi e Draghi». Ha molto parlato di politica il conduttore RAI, rispondendo alle domande del conduttore. «Ho sempre sperato che la Lega facesse il grande passo per diventare un partito nazionale; non so se adesso si chiuderà nel grande nord a fare il partito territoriale. Per me, è possibile che Bossi e Berlusconi decidano di lasciare insieme, perché sono legati da un’amicizia profonda nata ai tempi della malattia di Bossi. Bossi mi raccontò che dopo la grande rottura del 1995, la moglie gli disse che uno che ha cinque figli non può essere un mascalzone».

Ancora: «Se a Milano il centrodestra avesse candidato Lupi avrebbe vinto col 60%. Le elezioni primarie con una sfida diretta tra Vendola e Bersani sarebbero combattutissime, anche se finirebbe col vincere Bersani. Quanto a Di Pietro, costui sta iniziando a guardare all’elettorato moderato; e questo accentua l’impossibilità per Bersani di prescindere da Di Pietro, che non va sottovalutato: gli uomini che trebbiano, dal Duce in poi, sono sempre molto determinati». Ha concluso con un è pronostico sulle prossime scelte decisive: «Casini studia da presidente della Repubblica, tuttavia però vedrei bene un governo Casini – Alfano – Maroni, come ha sostenuto oggi Enrico Letta. Berlusconi non può uscire sconfitto da vent’anni di vita politica, per questo deve mettere gli attributi sul tavolo e guidare la rivoluzione che per l’Italia è indispensabile».
 

Nella crisi. Senza rotta
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Di politica ed economia parliamo, in compagnia di due colonne portanti del quotidiano di via Solferino. Francesco Giavazzi, arrampicatore esperto di Dolomiti si concede – dal nostro palco – ai microfoni di Sky Tg24: «La manovra colpisce soprattutto il ceto medio produttivo e fa molto poco per la crescita, poteva essere evitata se ci avessimo pensato un anno fa e temo – quel che è peggio – che non convincerà i mercati (aperti lunedì in tutto io mondo benché qui da noi sia festa), obbligando la Bce a continuare a intervenire a sostegno dei titoli di Stato italiani». «Non capisco perché abolire solo 35 province e non tutte. Non ho visto nulla sui privilegi di deputati e senatori. Eppure tutte queste cose, pur importanti, sono secondarie rispetto al fatto che i mercati, per riprendere a comprare i nostri titoli di Stato, voglio sapere solo se ricominceremo a crescere».

«Se la Bce continua a sostenere i nostri titoli indirettamente sosterrà le nostre banche, al cui crollo in Borsa è legato il crollo di tutta la Borsa. Ma la domanda è: se il mercato finanziario non crede a questa manovra, per quanto tempo la Bce potrà continuare a sostenerci? Gli investitori infatti non chiedevano il pareggio del bilancio nel 2013, chiedevano solo rassicurazioni sulla nostra capacità di ricominciare a crescere, il mondo è pieno di Paesi in deficit che però sembrano più affidabili perché crescono più di noi. Quanto all'ipotesi che l'Europa emetta degli Eurobond, non lo decidiamo né noi né Tremonti». Eurobond altro non sarebbe che un nome sofisticato per dire che i contribuenti tedeschi devono fare dei trasferimenti finanziari ai contribuenti spagnoli, italiani, francesi... Anche qui la domanda da porsi è se i contribuenti tedeschi abbiano voglia di svolgere questo ruolo: «non credo proprio!» commenta caustico Giavazzi.
 

Per l’altro editorialista del corriere della Sera, Angelo Panebianco, è piuttosto cauto: «Per giudicare la manovra vediamo cosa ne resterà in Parlamento». Sappiamo dal passato che spesso certi interventi anche importanti, come la riduzione delle province, vanno incontro a difficoltà impreviste, con colpi di mano che fanno sparire le misure più incisive. Il politologo ha risposto dal palco di Cortina InConTra: «L'Italia era sotto attacco, è in atto una crisi internazionale, erano necessarie misure immediate per ricostruire un po' di fiducia, la manovra ha questa funzione. Vedremo se basterà a riportarci in zona di sicurezza». L'Europa ha evidentemente il problema della Germania che non ha più voglia di assumere fino in fondo un ruolo di leadership. E questo è un problema per tutta l'Europa, non solo per noi. La previsione è chiara: «Se la Merkel riuscirà a vincere le paure dell'elettorato tedesco, sarà un grande vantaggio per tutti, i tedeschi temono di dover pagare per gli altri europei spendaccioni, i problemi dell'Unione sono insomma gravi e di difficilissima soluzione”.

EMERGENZA NAZIONALE. UN DECRETO PER SALVARCI
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​In diretta con il Consiglio dei Ministri, live dall’epicentro del terremoto economico. «Quando vola una sberla, la colpa è di chi se la fa dare». Si parla di aumentare le tasse sulle rendite finanziarie, Bot esclusi, di avviare nuove liberalizzazioni, di intervenire sulle pensioni e sull’assistenza, di abolire l’articolo 18 introducendo la libertà di licenziamento, di accorpare le festività alle domeniche per lavorare di più, di tagliare la spesa per gli enti locali e i costi della politica.

Il Ministro per i Rapporti con le Regioni, Raffaele Fitto, si scusa per l’assenza e riferisce i piani del governo. Quanto ai tagli della spesa pubblica, «occorre che collaborino tutti i livelli istituzionali del Paese. Il piano Sud, per esempio, è un risultato acquisito». Non rivela altre indiscrezioni il ministro pugliese, per rispetto del CdM che si riunirà di lì a poco. Interviene telefonicamente anche Gianni Alemanno, Sindaco di Roma Capitale e presidente del Consiglio nazionale Anci - Associazione Comuni d’Italia (impegnato nei lavori della caldissima giornata romana, non si nega ai microfoni di InConTra). Annuncia i nuovi tagli contenuti nella manovra d’emergenza: «saranno tagliate 34 provincie e accorpati i comuni sotto i 1000 abitanti che sono circa 1500»

Il più deciso è Antonio D’Amato, imprenditore e past president di Confindustria: «Le parti sociali sono chiamate a fare delle scelte che non sono state in grado di fare. Il dibattito sviluppato finora è inadeguato. Di fronte a momenti gravi come questo, la fiducia raccattata serve a poco. Occorre dimostrare se il Paese è in grado di intraprendere un percorso virtuoso. Il nostro Stivale, solo a condizione di un cambiamento drammatico, può riprendersi e ripartire. Poi arriva la dichiarazione che farà notizia nelle prossime convulse ore: «auspico un governo tecnico fatto da donne che ridia fiato al Paese. È necessario ridare credibilità alla classe dirigente, giacché siamo in prossimità degli ultimi istanti di questo periodo di vita repubblicana. Senza un possente scatto d’orgoglio non si va da nessuna parte».

PINOCCHIO, O L’ELOGIO DELLA BUGIA
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Piero Dorfles lo dice subito: ‘Pinocchio’ non è una favola per i bambini, ma una favola sui bambini, per questo riserva ai suoi lettori un messaggio di un’attualità sempre intatta. Il grande Collodi utilizza infatti la logica ed il linguaggio dei bimbi per farsi capire e parlare a tutti.

«Birba d’un figliuolo, non ti ho ancora finito di fare e già mi manchi di rispetto». «Sciagurato d’un figliolo: e pensare che ho tanto penato per farti un burattino per bene». Dorfles spiega che – in realtà – il burattino esiste prima di esistere, deve esistere, per rappresentare l’arroganza dei bimbi, l’essere irrispettosi, l’avidità e la materialità. Rileggere con le lenti vispe dell’autore Rai il libro più venduto al mondo (dopo la Bibbia e scalzato, per un attimo, solo dal bestseller Harry Potter) è un viaggio piacevole, “ontologico” lo definirebbe Dorfles.

L’incontro col Grillo Parlante rivela un’antologia dei nostri difetti e vizi, fotografa tutta la tracotanza umana. E rivela le debolezze del genere umano, per esempio con la visione di Pinocchio gemente e piangente. Le bugie, tanto quelle con le gambe corte quanto quelle con il naso lungo, son l’energia di un intero mondo che sa rinunciare al sacrificio della verità. Vengono punite da Collodi solo quelle che danneggiano gli altri. Per questo i nasi per Collodi non sono organi, ma la zona geografica di un’umanità che cresce.     

Pinocchio è figlio dello Stato laico di cui ricorre il Centocinquantennio, conclude Dorfles. Eppure quell’“O babbo mio se tu fossi qui” è identico al biblico “Elì, Elì, léma sabactàni”. La musica dell’organetto di Clara Graziano accompagna l’insegnamento conclusivo: «è impossibile evitare l’età della maturazione, un giorno a tutti tocca diventare grandi».               

Ripensiamo le pensioni
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Enrico Cisnetto, oggi nelle insolite vesti di opinionista e non di conduttore, spiega la ragione della personalissima conversione. C’è un sacco di lavoro da fare sulla previdenza, a suo dire, «è una materia sempre in rapida evoluzione, mi sta molto a cuore». Modera dunque Sergio Luciano, anche lui, ormai parte della grande famiglia di InConTra.

Ospite “prelibato” Antonio Mastrapasqua, presidente Inps, fiero di aver inaugurato il sistema della trasparenza nella gestione dell’ente. Spiega alla platea ampezzana: «Abbiamo una spesa sociale di assistenza non sempre indirizzata dove ce n'è bisogno. Il 52% degli abitanti del sud è assistito dall'Inps sotto qualche forma, dalla cassa integrazione all'invalidità». La sua proposta è semplice: aprire una riflessione seria e approfondita. «L'assistenza – ha proseguito – è tuttavia una spesa stratificata in 30 anni di finanziarie ed emendamenti, e che oggi è per questo particolarmente difficile da governare». In Italia si va in pensione, come media, a circa 61 anni, «l'asticella – secondo Mastrapasqua – si sta alzando con lentezza, perché questo è un mondo di grande lentezza, cambiare le regole è una misura spesso traumatica». Non siamo ancora ai livelli europei, per via dell’aspettativa di vita in aumento nel 2050 dovremmo raggiungere e superare gli altri paesi europei. Questa la stima ufficiale: «precisamente, nel 2010 i pensionati d'anzianità (dipendenti) sono andati in quiescenza a 58 anni e 3 mesi, di media, quelli con la pensione di vecchiaia a 62 anni e 3 mesi».

Ci si lamenta degli sperperi: nel 2000 gli invalidi non erano tantissimi, poi grazie ad una norma che ha devoluto parte della competenza statale alle regioni, oggi 8 invalidi su 10 sono concentrati in Campania, Sicilia, Puglia e Calabria. Difficile però pensare che il Parlamento sia disposto a tagliare le tanto spernacchiate pensioni d’oro, ed infatti Mario Giordano, direttore NewsMediaset, autore de “Sanguisughe. Le pensioni d’oro che ci prosciugano le tasche” (Mondadori) è qui proprio in veste di censore. «impossibile una riforma, sarebbe come se il tacchino votasse a favore dell’anticipazione del Natale». Si racconta che, in provincia di Napoli, venti persone della stessa famiglia fossero invalidi, ovviamente falsi. Colpa anche dei medici che attestano le patologie inesistenti. Ironizza e fa incazzare, l’editorialista de il Giornale, parlando di “meridiano della sfiga” a proposito di quei siti ove si assiste ad un’iperconcentrazione di pensioni di invalidità. Tutti di sana e robusta costituzione, quei tizi. In attesa di essere scoperti e – ce lo auguriamo – sanzionati.
 

Sempre libera
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​Leggera e libera, Katia Ricciarelli attraversa il corridoio centrale dell’Audi Palace e raccoglie l’applauso composto della platea ampezzana. L’accolgono sul palco Enrico Cisnetto e Marino Bartoletti, impeccabili.

La soprano, di nero vestita, calca la scena ed incanta con i vocalizi superbi di “Memory”, magistrale la sua interpretazione. Dilettato l’udito del pubblico cortinese, si presta alla chiacchiera spensierata: si sorride del rapporto maritale col conduttore Baudo, si sghignazza per la malizia di certe affermazioni e si rievocano le tante donne protagoniste delle sue arie. Roberto Corlianò la accompagna al pianoforte (ed il pubblico tiene il tempo con le mani), Katia canta “Funiculì funiculà” la celebre canzone napoletana scritta nel 1880 dal giornalista Giuseppe Turco e musicata da Luigi Denza.

Poi è tempo di cinema e di “La seconda notte di nozze”, regia di Pupi Avati. Katia confessa: «mi piace recitare ma il mio primo amore, la lirica, non si scorda mai». Pupi Avati che – per Bartoletti – è grande perche «sa rintracciare il talento in artisti di altre dimensioni». Scorrono le immagini della pellicola che le ha fatto guadagnare il Nastro d’Argento e poi quelli di “Gli amici del bar Margherita”. Le parole scorrono veloci e si alternano alla musica leggiadra e blasonata dell’ugola d’oro. Ai nostri microfoni aveva raccontato della sua passione innata per la musica, spiegando così la genesi del sentimento: «alle signore che non s’intendono di armonia, dico: se sentite delle emozioni nascervi dentro, vorrà dire che le note vi piacciono».

Mala tempora currunt
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​Grande attesa per l’uscita pubblica di Paolo Mieli sul palco di Cortina InConTra, il Pala – la tensostruttura che ospita tutti gli appuntamenti – deborda di pubblico e preoccupazione. Presenti ospiti illustri in platea, anche in incognito, tutti qui per capire che aria tira. Mieli fa una premessa, non vuole farsi profeta di antipolitica, eppure il pubblico pare sceso qui ad incoronare un nuovo leader. Smentirà la premessa dopo pochi istanti, sentite qua: «la Grecia insegna che l’indignazione si tramuta presto in reazione dura ed insubordinazione, è possibile anche qui da noi. Non manca molto». Mieli, composto sulla poltrona, urla e sorride all’applauso del pubblico ampezzano. Quanto alla scadenza elettorale prossima ventura, nessuna sorpresa. Dureranno «fino al 2013», poi «il centrodestra perderà le elezioni, ma non vedo un vincitore all’orizzonte, neppure altrove». Colpa sempre del Cav. che «si sta facendo gli affari suoi e questo è un peccato vero – bordata – bravissimo comunque e complimenti alle sue aziende». Sua anche la responsabilità per gli strappi con Fini e Casini, «è un vizio del premier fare fuori chi lo contraddice».

Sul tema dei nuovi possibili premier all’orizzonte, dice: «Mario Monti è il miglior candidato alla premiership», indicato a giorni alterni da destra, sinistra e centro. «Ma andrebbe bene anche per marziani e venusiani», sebbene non «paia adatto per una supplenza di fine legislatura, piuttosto dovrebbe farsi eleggere dal popolo italiano». Oppure, al più, potrebbe assumerlo questo Parlamento in qualità di «Commissario straordinario del Paese, ma commissario ad acta e con ampi poteri». Quanto alla successione, Maroni – candidato in pectore da tempo – «ha un grande seguito ma non gode del sostegno del quadrato magico» che si stinge attorno alla figura del Senatùr.

La sentenza del presidente di RCS Libri sulla situazione del Paese è perentoria: «Sta per crollare tutto». Prosegue serio: «Va venduto tutto (esclusi Colosseo – allarme bomba nel frattempo a Roma, per dire le coincidenze – e Partenone), solo così potremmo eliminare la burocrazia corrotta e l’inefficienza di questo Paese». Applausi scroscianti (e saranno tanti nel corso della conferenza). Gelo in sala quando Mieli decide di tuffarsi in un bagno di sincerità: «Sono un elettore convinto del centrosinistra ed ho “schierato” il mio giornale in favore di quella coalizione, ricevendo peraltro le caute proteste di una parte di lettori. Dico però che Berlusconi è davvero al governo dal 2001 – la parentesi degli otto mesi nel 1994 non conta. Quindi mi tocca lagnarmi dei guai di casa mia, faccio sempre così anche quando mi occupo di storia».

Poi viene la quasi minaccia agli esponenti del governo che son solitismarcarsi, ma solo a parole: «Voglio dare un consiglio ai politici di centrodestra: se non avete il coraggio di dire in pubblico ciò che andate ripetendo in privato, tacete per cortesia. La gente vi apprezzerebbe di più». E, insistendo sul tema della mala politica, continua: «Mi muovo sui mezzi pubblici da anni, i Milanesi lo sanno, e desidero che lo facciano tutti i politici. Corro lo stesso rischio io, occorre sobrietà». Poi si infervora e prosegue: «La Polverini che usa l’elicottero per recarsi alla Sagra del peperoncino (ma poi dice di averlo pagato di tasca propria)? Sappia che – a breve – quegli elicotteri glieli abbatteranno coi bazooka i cittadini stufi».

La nomina di Alfano – per Mieli – è un buon segno, si dice convinto che un quarantenne possa rappresentare la stagione successiva del centrodestra. Per sembrare credibile, però, ora che gode anche del consenso interno e sincero del suo stesso partito, «deve saper dire di no, almeno una volta, a Silvio Berlusconi. Divenire segretari di partito per partenogesi è una cosa da paese sovietico, non funziona nella democrazie. Anche il Cav. gliene dovrebbe render merito, se solo si mostrasse indipendente».

Bordata per la nuova generazione di magistrati premiati dall’elettorato: «Ho grande rispetto della politica, ma sono un giornalista che si è impegnato a non entrare in politica. Non sono come quei magistrati che prima esercitano e poi si buttano in politica, magari nella stessa città». Cita un mito per incassare l’assenso del pubblico, cita quell’Indro Montanelli che rifiutò addirittura il posto di senatore a vita che chiunque avrebbe accettato, dando una lezione a chi fa “questo” mestiere: «non mescolarsi, non chiedere prebende e non contrattare niente con la politica». E la sua analisi non è più clemente con la lega «la Lega non sta meglio del Pdl, ha un elettorato più intransigente».

Capitolo Rai. «Quel che accade è una degenerazione di quel che accadeva nella Prima Repubblica. I più bravi sono quelli che vanno a lavorare in aziende molto meno importanti ma riconducibili ad un unico decisore (per esempio a La7, dove operano Franco Bernabè o Giovanni Stella, persone che si prendono le loro responsabilità, premiano e puniscono sulla base del lavoro svolto). Poi si tratta dell’attualità calda, «il fatto che un bravo manager come Ruffini – aggiunge l’ex direttore del Corsera – prenda e sia costretto ad andare dalla Rai a lavorare per un editore privato molto minore, dovrebbe dirci tante cose dell’emittente. Che, cioè, il clima è guasto e la soluzione non è cercare di sanare il clima mettendoci i buoni, ma prendere e sbaraccare tutto. Via! A volte si dice: “Non tutte e tre le reti”, io invece dico: “Tutte e tre ai privati”».

Gioco della torre finale, ma Mieli non si sbottona: «fosse per me butterei sempre tutti». E per tutti s’intendono: «Fini (salvo Bocchino), Prodi (salvo Bersani), Tremonti (salvo Letta senior), De Magistris (salva la Iervolino), Formigoni (salva la Polverini), Santanché (salva la Mussolini), Colaninno (salvo Bernabè)». Rivelazione: non butta mai le donne giù per policy, «ma per la Marcegaglia farò un’eccezione e salvo Marchionne». Fuochi d’artificio per il pubblico dei vacanzieri, in chiusura arriva pure il colpo secco: Mora o Minetti? «Butto Mora perché è donna».

Professione reporter
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​L’inviato di guerra non esiste. È una definizione vuota, retorica, fintamente perigliosa e roboante. Esiste l’inviato, e costui si occupa di fatti diversi tra cui i conflitti internazionali. È ora di finirla col ritagliare un mito attorno alla figura del reporter scapigliato e in onda dal disastro. Gli ospiti in sala concordano pienamente, ma lo sfogo è di Stella Pende, nota reporter dai più caldi teatri di guerra. 

Ilaria Alpi, la reporter italiana scomparsa tragicamente mentre si trovava nel continente africano per un’inchiesta su petrolio e corruzione, amava ripetere: «A me piace andare, vedere e riferire, e non farmi raccontare da altri ciò che è successo. E questo sempre, in ogni circostanza». Questo pare sia lo spirito che ha animato il “mestiere” dei nostri ospiti. Oggi si raccontano giornalisti di ogni ordine e grado. Toni Capuozzo, vicedirettore del tiggì della rete ammiraglia Mediaset, curatore e conduttore di Terra! settimanale su Canale 5, Massimo Nava, inviato Corriere della Sera, autore de “Il garibaldino che fece il Corriere della Sera” (Rizzoli), Stella Pende, autrice de “Confessione reporter” (Ponte alle Grazie). Rievocano gioie e trami vissuti, come quell’infernale pioggia di missili che sorprese una troupe, al riparo di un lussuoso albergo cittadino. Si rischiava, insomma, di capitolare col bavaglino intorno al collo: che fine ingloriosa!

Si riflette sul ruolo del cronista di guerra (che poi, già il concetto stesso di guerra è vago e ambiguo: è guerra un tafferuglio di esagitati ultras, è guerra un terremoto che sconvolge geografie e distrugge vite, è guerra un corteo furibondo di precari pronti a tutto). Ci vogliono curiosità, sprezzo ed insieme timore del pericolo, per abbandonare il confort di una redazione e tuffarsi nell’Inferno. Si riflette grazie anche alla testimonianza di Mario Renna, ufficiale addetto alla pubblica informazione della “Brigata Taurinense”, autore oltretutto de “Ring Road” (edito da Mursia). Racconta, mentre affida le proprie coccole al basco alpino che reca in grembo quasi fosse un pargolo, che in Afghanistan il motto “Italiani brava gente” vale ancora: le popolazioni civili, infatti, stimano gli uomini e le donne del contingente tricolore e vi riconoscono un indispensabile presidio per la democrazia ed i diritti sociali che il regime aveva demolito.

Sentenzia Capuozzo: «I militari non sono “Rambo”, abituiamoci all’idea del professionista che si impegna nella propria attività puntando sull’adempimento convinto dei propri doveri». Quanto al mondo dell’informazione, beh: «ci vuole tanto coraggio per sopravvivere, son pessimista però». Toccherà smentirlo, insomma. È già questa è una speranza, per tutti.
 

La tv educata
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​Ovazione per lui, applausi a scena aperta, pianoforte già pronto, sala stracolma. Fabrizio Frizzi, l’educatissimo conduttore Rai, incanta il pubblico cortinese, sorpreso e stupito di poter accogliere un ospite del suo calibro. Ripercorre i momenti frizzanti (e non si tratta di tautologia) di un’illustre carriera nazionalpopolare. Da “Paroliamo” a “I Fatti Vostri” fino a “LunaPark”, Fabrizio si offre senza parsimonia: canta persino “Perdere l’amore” e ringrazia il pubblico con un cortese e schermito: «siete troppo generosi». Scorrono le immagini del celeberrimo “Miss Italia” e Marino Bartoletti, superbo conduttore, non si trattiene: «Ma lì si cucca?». Piccola cattiveria giacché sul widewall scorre l’effigie dell’attuale compagna, all’epoca concorrente del concorso di bellezza tricolore.

Colpo di scena, tutto d’un tratto. In sala irrompe Paolo Bonolis (che domani sarà protagonista, sul palco dell’Audi Palace, di un appuntamento interamente dedicato a lui), accompagnato dalla consorte Sonia, si accomoda in prima fila e ne nasce un gustosissimo siparietto “tra palco e platea”. Poi la malizia si materializza (solo virtualmente, per fortuna) con Rocco Casalino e la sua profezia, smentita invero, del «Frizzi è un conduttore finito». Fabrizio non si scompone, trionfa la sua educazione urbana: «Bah, Casalino è un opinionista ed, in quanto tale, ha un’opinione. A me toccherà smentirla». Spazio pure alla malinconia, ad un ricordo tragico: quello del 23 maggio 1992, quando intorno alle 19:00 si seppe della strage di Capaci. E Frizzi, sensibile su certi temi e addolorato per il lutto (all’epoca, oltretutto, era sposato con Rita dalla Chiesa ed il cognome spiega tanta sofferenza) fu obbligato ad andare in onda per dare l’impressione che “il Paese non si fosse arreso all’orrore della mafia”.

Si chiude in bellezza, grazie al pianoforte Steinway ad Song e alle indimenticabili note di “E penso a te” della premiatissima ditta Mogol – Battisti. «Amici di Cortina, buonanotte»: saluta e sorride il mitico Frizzi.
 

La vita oltre la vita
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«Abbiate rispetto enorme per il passato, ciò che viene prima dello schiocco, e del futuro, ciò che viene dopo lo schiocco. Il presente, invece, è proprio lo schiocco e – mentre vi parlo – già non esiste più».

È un Roberto Giacobbo in splendida forma, quello che stasera è salito sul palco di Cortina InConTra. È un viaggio mitico e mistico, il suo, con cui intende traghettare i suoi spettatori oltre i confini della materia. Si narra di corpi fotonici, vite parallele e tunnel di luce. All’inizio dello show, il conduttore della fortunatissima trasmissione televisiva “Voyager”, da anni in onda su Rai2, confessa di voler regalare solo buone notizie. Come la speranza o il sospetto o la convinzione (scegliete voi, sulla base della parrocchia di appartenenza) che la vita possa estendersi “oltre la vita”. Prima e dopo.

Giacobbo cita i casi, noti e meno noti, di vittime di incidenti che – dopo essersi ripresi dal coma – erano in grado di riferire con dovizia di particolari i momenti dell’intervento medico, benché fossero incoscienti. E ricordavano anche il posto in cui erano stati  riposti i loro effetti personali (una dentiera, nella fattispecie), come se col corpo avessero continuato a seguire gli oggetti mentre erano “sotto i ferri”. O ancora di bambini inglesi che ricordavano perfettamente storie che nessuno aveva raccontato loro e che – dopo numerose verifiche – si dimostravano come “cittadini di un’altra epoca”, quasi che – qui il pubblico è percorso dai brividi – «avessero già vissuto un’altra vita». È un’iniezione di dubbi e sogni, quest’incontro.

«Vi farò un massaggio al cuore, non una semplice carezza alla mente. Sappiate che il nostro cuore, ogni volta che si contrae emette un piccolo impulso elettrico che viaggia alla velocità della luce nello spazio, dunque le vostre emozioni vengono – anche in questo istante – proiettate a distanze che proprio non immaginate». Spazio alla commozione, che annega nel lungo applauso del pubblico: «ecco, io vorrei, con questo viaggio verso il “lontano” raggiungere una persona a cui ho voluto tanto bene e con cui vorrei continuare a sorridere».

Vaticano spy story
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​«La storia di Emanuela Orlandi deve essere ancora scritta, tante sono state le piste percorse dalla magistratura. Oggi sembrano prevalere quella che porta fino all’Inghilterra o ancora quella che coinvolge la banda della Magliana. Il suo rapimento fu chiaramente un messaggio al Papa polacco, allora percepito come “straniero” ed “iperattivo”. Mi auguro di poter ristabilire la verità e – se possibile – di riabbracciare mia sorella. Mi auguro, infine, che le trenta – quaranta persone che hanno delle notizie certe sul caso, invecchiando, acquistino il coraggio necessario a far luce sulla storia che da 28 anni non trova soluzione». A parlare è Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, a margine dell’incontro “Vaticano Spy Story” incluso nel cartellone degli eventi di Cortina InConTra, lo stesso aggiunge: «il Vaticano era la mia seconda famiglia, purtroppo Giovanni Paolo II ha permesso al silenzio di calare su questa vicenda». Si sbilancia ancora Orlandi ed annuncia ai nostri microfoni l’intenzione di costituire, già a settembre, un “Comitato per la verità” sul caso. «Ho chiesto a Benedetto XVI un atto di fierezza: abbattere quel diaframma di silenzio, quel muro di gomma ce ci separa dalla chiarezza. Non concepisco né uno Stato né una religione che ammettano una situazione simile». Orlandi ha ripercorso poi un altro momento della vicenda. «L'episodio più brutto è stato quando rilasciai un'intervista al Corriere all'inizio degli anni Novanta e dissi che si sono dimenticati di una loro cittadina - ha sottolineato Pietro - Due giorni dopo mi chiamò l'allora presidente del Governatorato, convocandomi nel suo ufficio, non sapevo perché. Mi tirò il giornale in faccia e mi disse 'ancora con questa storia di sua sorella'. Ho pensato che fosse impazzito - ha spiegato - perché era la prima volta che in Vaticano notavo una tale caduta di diplomazia.

Sandro Provvisionato, giornalista e autore televisivo, autore con Ferdinando Imposimato de “Attentato al papa” (Chiarelettere), ritiene che ci sia l’urgenza di risolvere il celebre “caso De Pedis”, vale a dire le vicende connesso col bandito seppellito a Sant’Apollinare, peraltro qui si aprirebbe un altro mistero irrisolto che coinvolge prelati e banditi della Magliana. Si intrecciano anche le vicende di una spia della Stasi, depositaria di segreti del Vaticano proprio sul caso Orlandi. Anche Ali Agca, per esempio, sarebbe legato a queste storie e, a detta dei nostri ospiti, persino la magistratura italiana apparirebbe reticente. Fabrizio Peronaci è giornalista del Corriere della Sera, coautore de “Mia sorella Emanuela” (Anordest), ha aiutato Pietro a mettere per iscritto tutti i dubbi. Ammette poi: «i magistrati sono uomini, possono sbagliare. Sono in corso sviluppi. Una telefonata, nel corso di una trasmissione, da un certo “Lupo” – che poi abbiamo scoperto essere un ex agente segreto italiano – ci ha rivelato che Emanuela è viva e nascosta a Londra». Giacomo Galeazzi, vaticanista de La Stampa ed autore con Ferruccio Pinotti de “Wojtyla segreto” (Chiarelettere), si dice stupito di come, dopo quasi tre decenni, la vicenda sia ancora tanto affascinante. Non si tratta di amore per le dietrologie o di morbosità, il volto grigio e scorato del fratello sa insegnare agli italiani una spasmodica esigenza di pulizia nei rapporti tra istituzioni. Concorda il conduttore Paolo Rodari, vaticanista de Il Foglio, curatore del fortunato blog “Palazzo Apostolico” ed autore con Andrea Tornielli de “Attacco a Ratzinger” (Piemme). Ci si saluta con una promessa: il “Comitato per la verità su Emanuela Orlandi”, comitato di pressione ed impulso verso la magistratura e di sostegno alla famiglia, sarà realtà. Promesso.


Indecisi a tutto
- Audi Palace
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​Istituzioni ospiti a Cortina. Arriva puntuale e sceglie un abbigliamento tipicamente tirolese Michele Vietti, vicepresidente del Consiglio Superiore Magistratura ed autore de “La fatica dei giusti” (Università Bocconi Editore). Si concede ai nostri microfoni e sorride cortese. Risponde alle domande dell’editorialista Enrico Cisnetto, ideatore ed organizzatore di Cortina InConTra, osteggia le intercettazioni a strascico eppure si batte per difendere questo prezioso strumento probatorio. Separazione delle carriere? «Sì, se si tratta di quella del magistrato e di quella del politico (qui il padrone di casa allude alle recenti vittorie elettorali delle comunali senza comunque fare cognomi). Giacché autonomia ed indipendenza vanno custodite con coraggio e dedizione, il “busillis” – come dice Vietti usando il politichese- sta tutto qui: «la selezione per concorso di una classe di magistrati non può rappresentare l’unica rassicurazione sulla loro infallibilità». Cita dati che hanno del preoccupante: solo duecentocinquanta candidati sono riusciti a superare il concorso che ammetteva 500 posti, la metà è rimasta. Ci si chiede che ruolo abbia giocato la formazione universitaria in questa debacle, ma il vice presidente del CSM – in virtù del posizione di garanzia rivestita – “si avvale della facoltà di non rispondere”. Non glissa però sui problemi del Paese, si lamenta infatti del bipolarismo muscolare “alla matriciana”, presentato un tempo come panacea di tutti i mali, eppure oggi è paralisi. Descrive l’Italia come “bella addormenta nel bosco”. L’esponente del Pd, già presidente della Camera dei Deputati ed oggi a capo della Fondazione Italiadecide, autore de “Viaggio verso la fine del tempo” (Piemme) Luciano Violante invita a superare il bicameralismo paritario ed a ridurre il numero dei Parlamentari. Rivela che un parlamentare tricolore costa la metà di uno – per dire – tedesco, ciò che gli si rimprovera è la disonestà e l’immobilismo decisionale, ecco il motivo della montante insofferenza anticasta.

Francesco Pizzetti, presidente dell’Autorità Garante della Privacy e docente di Diritto Costituzionale Università Torino, in parte sconfessa il titolo della conferenza di cui è relatore, sostenendo che i popoli – di questo tempo – siano forse decisi a tutto, basta guardare ai fenomeni degli indignati che accendono il ribellismo europeo e non solo. Il “bidone” generazionale è in agguato: «gli anziani stanno vivendo alle spalle dei giovani, il reddito familiare, per esempio, è un intoppo ai loro diritti. L’accusa di queste ore alla politica – aggiunge – suona circa così: “ci costate troppo perché siete inutili”». Giuseppe Sala, amministratore delegato Expo 2015, stuzzicato da Cisnetto, spiega che è scarsa l’attenzione dei media su cosa si stia facendo oggi per l’Expo e troppa l’attrazione per l’ora “x”: ciò che più impegna invece è il percorso che porterà a quella data. Si definisce, guardando al suo cursus honorum, “civil servant” e continua: «la politica deve dare indirizzi macro, ma occorre lasciare libertà d’azione ai tecnocrati che gestiscono le contingenze». Expo 2015 sarà un’occasione vitale di marketing territoriale, milioni di cittadini pacificamente invaderanno i nostri territori in cerca di innovazione e sviluppo. «Abbiamo un’occasione d’oro. Non sprechiamola!», chiosa. Vito Gamberale, a.d. del Fondo F2i Sgr, cita un editoriale di Giavazzi: «il Paese si attende una svolta, non serve la narcotizzazione degli Italiani con il refrain del “tutto va bene”. Rimboccarsi le maniche e compiere scelte impopolari come, ad esempio, aumentare le tasse universitarie eppoi accorpare i comuni».

Tira un’aria iperattiva qui nel Cadore, menti illustri – sebbene di diversa estrazione professionale ed ideologica – troppo spesso convengono circa gli interventi necessari a far ripartire il Paese. Che sia davvero il momento conclusivo di questo interminabile pit stop?

Sud chiama Nord
- Audi Palace
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​Faccia a faccia tra Stefano Caldoro, governatore della Regione Campania, e Luca Zaia, suo omologo veneto. Nord contro Sud. L’un contro l’altro armato (affatto, a dire il vero, il clima è piuttosto rilassato e non mancano i complimenti trai due). È tutto un “come ha detto Luca” o “non è colpa di Stefano”, a parte qualche inevitabile mugugno sul tema della sanità. Non sono rivali a confrontarsi sul palco, ma colleghi abituati a sacrificare le pettorine dell’appartenenza politica sull’altare del buongoverno. Ora, non tirate in ballo la faccenda rifiuti, qui i cuori si scaldano ed “i rifiuti campani restino lì dove sono, noi non li vogliamo” oppure “siamo un’area virtuosa a parte due zone critiche, il napoletano ed il salernitano”. Piccoli attriti trai due fieri presidenti, ma è roba passeggera.

I due si stimano, militano nella stessa coalizione e si confrontano con emergenze dello stesso drammatico tenore (si pensi allo smaltimento dei rifiuti partenopei o alle conseguenze dell’alluvione veneta). Oggi discutono senza rete incalzati dalle domande della giornalista e conduttrice La7 Myrta Merlino. A Nord si invoca il dimezzamento dei consiglieri regionali, da inserire nella nuova carta Statutaria della Regione che verrà varata di qui a poco – nonostante gli intoppi e gli ostruzionismi in consiglio. «Finalmente avremo un regolamento che preveda, in particolare, il blocco a due mandati per il presidente della Giunta, gli assessori ed i consiglieri regionali – l’esito è appeso al voto delle prossime ore, dunque il Governatore è più che cauto – ho il massimo rispetto dell'autonomia del consiglio e starò anch'io a vedere quali saranno le determinazioni". Caldoro si spinge oltre, proponendo la riduzione degli enti municipali inutili e – pur di non essere tacciato di voler far riforme a casa d’altri – incalza: «si accorpino le regioni se è il caso, gli enti pletorici non aiutano il Paese ad essere competitivo. Si potrebbe immaginare di fondere quelle regioni troppo piccole, o ancora di escludere le provincie senza retorica».

Il pubblico spesso applaude trasversalmente, niente campanilismi oggi. L’aggressione speculativa ai conti del Paese paiono aver ridotto le ultime barriere territoriali che impediscono di riflettere serenamente. È ormai tempo di austerità, Zaia rientrerà a casa a dormire con la moglie – niente hotel a spese dei contribuenti – e Caldoro si muove a bordo di una Punto dopo aver lottato contro i disagi connessi al ritardo un aereo di linea. Son giovani i due e non conoscono i trucchi del politichese, anche per questo la platea li premia.

Sei di destra o di sinistra? Boh...
- Audi Palace
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Oltre gli steccati, lontani dai pregiudizi. Anche nella scelta degli ospiti: Italo Bocchino (pupillo del ministro del Buonumore, tal Pinuccio Tatarella, cresciuto nel’MSI, poi esponente della destra di Alleanza Nazionale ed oggi fieramente in Futuro e Libertà per l’Italia) e Piero Sansonetti (a lungo direttore di Liberazione, organo d’informazione del Partito della Rifondazione Comunista, oggi alla guida de gli Altri, settimanale di area vendoliana, e del quotidiano regionale Calabria Ora). Poi Renato Mannheimer, presidente dello Istituto Studi Pubblica Opinione e sondaggista Corriere della Sera e Porta a Porta.

L’idea qui è che: gli elettori debbano punire con forza i trasformisti. Perché v’è differenza enorme tra chi cambia opinione per una poltrona da sottosegretario e chi si ravvede dei propri errori. Ed anche la Carta Costituzionale infatti esclude il vincolo di mandato per gli eletti. Spunto del dibattito odierno è il libro “Sei di destra o di sinistra?” (Ediplan) curato dal giornalista Diego Gavagnin: il testo, grazie ad una serie di simpatici quesiti, mette in dubbio le nostre granitiche – o dolomitiche, sarebbe il caso di dire forse – certezze bipolari. Gavanin sostiene di essere il curatore di una preziosa mole di materiale elaborata da un suo amico che preferisce restare anonimo e sottopone gli interrogativi alla platea di InConTra, peraltro oggi molto rumorosa: non c’è che dire, l’argomento “acchiappa” eccome. Pagare le tasse è di destra o di sinistra? Offrire l’elemosina ad un mendicante per strada è di destra o di sinistra? Oggi Sansonetti e Bocchino parlano la stessa lingua. Le versioni dei due scherzosamente tendono al fasciocomunismo della rassegnazione all’imbarbarimento culturale della nostra agenda politica. Pare che l’antiberlusconismo stia divorando la sinistra – a detta del direttore brizzolato – e pare pure che la fine di quest’era segnerà il collasso di ogni coalizione. Un male per tutti: per coloro che avranno costruito la propria carriera partitica sull’opposizione oltranzista al Cav., per coloro che avranno macinato successi brancolando nel buio dell’ossequio belante, e per coloro che questi atteggiamenti uguali e contrari li avrà fortemente contrastati. Conformismo, giustizialismo e populismo, – a detta degli ospiti – che sperano di rendere l’idea per exempla, si sono fusi insieme al momento del voto a favore dell’arresto del deputato Alfonso Papa. Per Bocchino tre sono i valori fondanti della “sua destra”: dategli Nazione, Merito e Legalità e vi (ri)solleverà i l Paese.

L’entusiasmo della platea è oggi incontenibile, finanche Roberto Castelli – oggi qui in veste di semplice spettatore – interloquisce dalla regia con i panelist fino ad essere scherzosamente “cooptato” sul palco. Il coinvolgimento è massimo, non fosse altro per le citazioni celebri che si librano nel Pala: “e anche nessuno si interessasse di politica, la politica si interesserebbe di quel tale”.


Processo ai processi
- Audi Palace
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​Povera è la civiltà giuridica in cui la condizione dell’imputato è peggiore di quella del condannato. Le parole del magistrato Antonio Laudati – incastonate in una superba comparatio compendiaria – si scolpiscono nella platea, sagge e veritiere. La materia è calda, magmatica, si discute di giustizia e si processano i processi: nulla da ridere.

Maurizio Paniz, parlamentare Pdl, avvocato penalista, si augura che le procure raggiungano le eccellenze che pure nel Paese esistono, ma – ovvio – non fanno notizia. E spera che la voglia di riforma si concretizzi in impegno vero, che prescinda dal sentimento egoistico del “not in m backyard”, non nel mio giardino. Racconta infatti di un sogno interrotto: la chiusura di alcuni uffici pletorici, provvedimenti cui si sono opposti con veemenza proprio alcuni dei più brillanti procuratori, preoccupati di perdere il posto di lavoro “sotto casa”. Davide Giacalone, editorialista de Libero e Il Tempo, autore de “Sveglia!” (Rubbettino), tuona e si sbraccia contro il protagonismo esuberante di certi magistrati fin troppo patinati e cita il caso dell’ondivago Ciancimino, ospite della nostra kermesse giusto lo scorso anno.

Luciano Garofano, ex comandante Ris Carabinieri, autore de “Assassini per caso” (Rizzoli) è un perfetto uomo della legge, compito in un gessato grigio e fiero del suo accento lievemente partenopeo. Spiega nei dettagli il modus operandi della “sua” squadra. Tocca poi ad Ilaria Cavo, giovane e competente giornalista Mediaset, autrice de “Il cortocircuito” (Mondadori) invocare una maggiore cultura del dubbio, meno certezze apodittiche. Le storie che prova sottoporre all’attenzione del pubblico ampezzano sono “di ordinaria ingiustizia”. Sua è l’idea che spesso le sentenze vengono redatte con l’inchiostro del pregiudizio e della cecità. È l’auspicio è presto detto: mettersi al lavoro per catturare non solo i latitanti più pericolosi, ma anche la fiducia dei cittadini: questa sì, davvero preziosa.

Ira funesta
- Audi Palace
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​Capitale, nel senso di vizio, vuol dire che da quel difetto ne derivano altri ancora. Se sia davvero così pare difficile stabilirlo: ci prova – in esclusiva per il pregiato pubblico di Cortina InConTra – Remo Bodei, docente di Filosofia alla University of California ed autore de “Ira. La passione furiosa” (Il Mulino), testo molto apprezzato dai panelist che stasera si confronteranno sull’argomento.

Innanzitutto una distinzione è d’obbligo, c’è la rabbia scontrosa ed ingiustificata e c’è l’indignazione, sentimento giusto e nobile. La teorizzazione è opera del filosofo nostro ospite e della psicoterapeuta Maria Rita Parsi, autrice de “Ingrati. La sindrome rancorosa del beneficato” (Mondadori) e volto noto dei più affollati talk show televisivi. Tanto ci sarebbe da dire sui nostri amici che han scordato di ringraziarci all’indomani di un grosso favore, le motivazioni fornite dall’esperta son chiare: alla base di ciò risiedono invidia, rancore, odio. Le ragioni son terribili e banali, essere destinatario di un favore mette chi lo riceve in una situazione di sudditanza psicologica dalla quale difficilmente riuscirà ad uscire. Maria Pia Ammirati, autrice de “Se tu fossi qui” (Cairo), rievoca le pagine struggenti del suo testo (incluso nella cinquina finalista del Premio Campiello 2011). Storia d’un uomo che scopre l’essenzialità del rapporto con la donna della sua vita solo dopo la sua scomparsa. La giovane Ilaria Cavo, giornalista Mediaset, autrice de “Il cortocircuito” (Mondadori) rilegge le pagine più torbide della sua esperienza di cronista e spiega, incassando l’assenso della giornalista de la Stampa Maria Corbi, che spesso ad armare la mano degli assassini è la sola ira.

Colleghiamoci
- Audi Palace
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​Capitale, nel senso di vizio, vuol dire che da quel difetto ne derivano altri ancora. Se sia davvero così pare difficile stabilirlo: ci prova – in esclusiva per il pregiato pubblico di Cortina InConTra – Remo Bodei, docente di Filosofia alla University of California ed autore de “Ira. La passione furiosa” (Il Mulino), testo molto apprezzato dai panelist che stasera si confronteranno sull’argomento.

Innanzitutto una distinzione è d’obbligo, c’è la rabbia scontrosa ed ingiustificata e c’è l’indignazione, sentimento giusto e nobile. La teorizzazione è opera del filosofo nostro ospite e della psicoterapeuta Maria Rita Parsi, autrice de “Ingrati. La sindrome rancorosa del beneficato” (Mondadori) e volto noto dei più affollati talk show televisivi. Tanto ci sarebbe da dire sui nostri amici che han scordato di ringraziarci all’indomani di un grosso favore, le motivazioni fornite dall’esperta son chiare: alla base di ciò risiedono invidia, rancore, odio. Le ragioni son terribili e banali, essere destinatario di un favore mette chi lo riceve in una situazione di sudditanza psicologica dalla quale difficilmente riuscirà ad uscire. Maria Pia Ammirati, autrice de “Se tu fossi qui” (Cairo), rievoca le pagine struggenti del suo testo (incluso nella cinquina finalista del Premio Campiello 2011). Storia d’un uomo che scopre l’essenzialità del rapporto con la donna della sua vita solo dopo la sua scomparsa. La giovane Ilaria Cavo, giornalista Mediaset, autrice de “Il cortocircuito” (Mondadori) rilegge le pagine più torbide della sua esperienza di cronista e spiega, incassando l’assenso della giornalista de la Stampa Maria Corbi, che spesso ad armare la mano degli assassini è la sola ira.

Campiello a Cortina
- Audi Palace
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​D’estate e di libri. Di pagine ed immagini. Va in scena il Campiello a Cortina, ed è autentica esperienza di parole che si fanno storie. Si impastano alla carta e divengono vita. Dietro le copertine, svettano i volti degli autori: la passerella ampezzana della cinquina nominata a maggio a Padova sfila per la nona volta sul palco di InContra.

Andrea Molesini, autore de “Non tutti i bastardi sono di Vienna” (Sellerio) esordisce con paragrafi di questo tenore “ho respirato un’aria fatta d’opposti”. Le sue sono immagini d’una famiglia normale vittima della guerra, ma ancora sorprendentemente ricca, in cui vinti e vincitori si contendono lo spazio psicologico della villa in cui gli stessi protagonisti risiedono. Voce narrante è un diciassettenne, innocente ed ignorante allo stesso tempo: imparerà a stare al mondo proprio nel corso del libro. La scenografia è macabra, quella di una guerra che è “assassinio, sempre”, “distruzione di civiltà”.

Giuseppe Lupo, autore de “L’ultima sposa di Palmira” (Marsilio), dedica l’opera alla compagna di vita Annalisa «che è più vera del sogno». Palmira non esiste, è un non luogo, quindi esiste tantissimo. È fatta di legno, come tutto quell’artigianato mediterraneo che ci riporta all’infanzia. Pensate al posto ove non vi sentite spaesati ed innamoratevi delle geografie invisibili. Vito Gerusalemme è il protagonista di questo paradiso, un ebanista che costruisce i mobili per le spose del paese, ed anche per l’ultima “condannata a procreare” per evitare l’estinzione del Paese. Il legno, d’altronde, è l’elemento che lo accompagna in tutta la parabola esistenziale.

Federica Manzon, autrice de “Di fama e di sventura” (Mondadori), scrive nella sua prefazione di «essere cresciuta nelle storie». In copertina un tuffo svetta da sinistra verso destra, s’un campo bianco – che più bianco non si può. Suo il personaggio, Tommaso, che nasce in una notte d’estate col dono di leggere nel cuore degli altri. Ambientato a Trieste che – sebbene innominata – fa da sfondo alle vicende narrate e col suo vento «fa diventare tutti pazzi». L’io narrante è quello di Luce, donna che “vuole fare chiarezza”, la vicenda è quella di Vittoria: una donna che si fa mantra e riecheggia nelle pagine più lancinanti del suo testo. Vittoria, quella piccola peste, Vittoria, amore di papà: è il suo ritornello.


Maria Pia Ammirati, autrice de “Se tu fossi qui” (Cairo Editore), ha scritto un romanzo dell’io, un micro viaggio del protagonista in fuga dalla vita. Nelle pagine che scorrono veloci, c’è tutta quest’idea del destino che allestisce i matrimoni e prepara alla morte, migliore chiave di lettura dell’esistenza in una città piena di sacrifici. Solo dopo essersene separato per sempre, un uomo conoscerà finalmente la vitale bellezza della sua donna. Luci d’accenti sghembi e guadagni da spartire, di volti cupi e di zie che – d’improvviso – scompaiono tra il baccalà. La sua lettura è lieve e visionaria, come di uno strapiombo a picco sulle storture che, a raddrizzarle, si rischia d’impazzire.

Ernesto Ferrero, autore de “Disegnare il vento” (Einaudi) ingenuamente sognava di cambiare il mondo coi buoni libri. Ci sarà riuscito? La sua è letteratura che parte dall’oggi per approdare allo ieri, evoca gli ultimi istanti di Emilio Salgari. Angiolina è la protagonista, chiede se scrivere sia questione di talento o impegno. «Si scrive per vivere molte vite, per essere un altro, per non fare il mestiere che fa tuo padre, perché non hai soldi per viaggiare, per fargliela pagare ai prepotenti». La superba sua creatura è costruzione d’occhi buoni e candele: opera certosina di vita che “la si vive o la si scrive”.


C'era una volta l'America. E l'Europa, ci sarà?
- Audi Palace
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​Imperi in dissolvimento, debiti impazziti. Visione molto pessimistiche ed auspici ben auguranti si confrontano oggi a Cortina. Accusateci di catastrofismo, ma dovremo pur raccontarvi la verità: tant’è che le copertine delle riviste economiche in queste ore sono di pessimo umore. L’America di Obama, quanto ai conti in fibrillazione, da subito nicchia e comunque rassomiglia sempre più al nostro (Vecchio) Continente.
 
Gianni De Michelis, ex ministro Esteri, socialista di lungo corso ed oggi presidente Ipalmo, commenta così i recenti sviluppi economico politici: «il governo tecnico sarebbe una sorta di commissariamento del Paese, occorre piuttosto rimboccarsi le maniche per ricostruire la credibilità dei nostri conti e quindi le nostre fattezze sul palcoscenico internazionale». Inutile coniugare i verbi al passato: l’America c’è, non c’era, deve resistere e combattere al nostro fianco. Edward Luttwak, economista ed ottimista, presenta al pubblico cortinese il popolo statunitense dei Tea Party: «non sono conservatori: anzi, vorrebbero conti in ordine. Paiono esotici e folkloristici, ma hanno il più alto tasso di laureati in economia, sanno di cosa parlano: ca va sans dire. Obama – in questi momenti - è il tipico presidente americano che vuole, agogna e prova ad ottenere, la propria rielezione al secondo mandato». 
 
La figlia d’arte Stefania Craxi, sottosegretario agli Affari Esteri ed esponente di area socialista del Popolo della Libertà, recita una poesia all’indirizzo del futuro. «Il Paese è ricco di energie, qualcuno vent’anni fa ha distrutto il meccanismo di selezione della classe dirigente. Oggi siamo una Nazione per vecchi che resiste, ai colpi degli scompensi economici, grazie al welfare e alla rete di solidarietà delle famiglie. Voglio un mondo multilaterale ,- aggiunge – sono una ragazza ostinata e non smetterò di sognare la ripartenza di questo Paese. Conduce: Pino Buongiorno, editorialista Panorama, direttore scientifico Diplomacy

Giovanni Castellaneta, già ambasciatore italiano in Usa, presidente Sace, autore de “Obama e l’ombra cinese “ (Guida) descrive il presidente Obama come uno statista dalla doppia personalità (e non si tratta di schizofrenia, sia chiaro, ma di semplici sensibilità plurali: razionale – derivata dagli studi giurisprudenziali - e sanguigna – eredità della madre d’origini africane. «Abbiamo un patrimonio di prestigio che il mondo ci invidia e che non siamo in grado di gestire». Se riuscissimo, insomma, a coltivare l’albero dei nostri talenti – oltre gli steccati confessionali o ideologici – potremmo ritrovare il nostro ruolo da protagonisti del Mediterraneo. Dobbiamo, insomma parafrasando Mitterrand, trasformare il Mediterraneo da culla della civiltà in comunità di destino.

Libero di criticare. Soprattutto la casta
- Audi Palace
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​Fresco di querela democratica, il direttore di “Libero” Maurizio Belpietro sale sul palco di Cortina InConTra e non lesina bordate al leader del PD provocando l’applauso con una battuta al vetriolo: «perché mai nessun attacco al Fatto Quotidiano che, per inciso, ha messo in pagina le nostre stesse accuse ad un tale onorevole Penati, "loro - aggiunge - sono i compagni che sbagliano, noi sbagliamo solo".

«Non si tratterà di vicende politicamente rilevanti, ma sarà certamente qualcosa di politicamente rivoltante», afferma il direttore a proposito del caso “Tedesco”. Si scaglia poi contro l’iperattivismo di certi magistrati in cerca di notorietà e biasima i processi che si fanno “sui giornali anziché nelle aule”. «Ma che razza di giustizia è?» si chiede Belpietro. L’intervistatore Enrico Cisnetto si chiede se siamo di fronte ad una Tangentopoli Bis. Il direttore ha un aneddoto: un onorevole gli ha rivelato che interi gruppi di parlamentari (addirittura di centrodestra, tiene a sottolineare) avrebbero in serbo per lui “una vagonata di legnate” per via della sua strillata battaglia contro privilegi e sprechi della classe politica nostrana.
 
Quanto ai recenti successi delle truppe arancioni in Lombardia ed a Napoli con De Magistris, Belpietro è sarcastico: «Pisapia ha addirittura preso meno voti di Ferrante (il prefetto ambrosalentino che fu sconfitto da Letizia Moratti, ndr). Vince, insomma, grazie all’astensionismo dell’elettorato tradizionalmente di centrodestra che ha dimostrato con forza di esser stanco dell’andazzo irrispettoso della classe dirigente». Gli sprechi – è innegabile – son troppi. Ed «il tentativo leghista di inaugurare quei pochi ministeri a Monza è una furbata. C’è tutta la volontà di illudere il proprio elettorato fingendo un certo distacco dalla Capitale: le decisioni intanto vengono prese sempre e comunque a Roma. Il trasferimento si è ridotto a tre scrivanie, ciò che serve, invece, è uno Stato efficiente che risponda con rapidità ai problemi dei cittadini, non un altro ufficio dove fare anticamera».
 
Si ironizza poi sulla presunta “confusione mentale” di Fini, il pubblico in sala sorride: «sognava di fare il leader ma al massimo può fare il presidente di una bocciofila. Ha criticato per anni la Lega ed oggi, pur di tornare in gioco, auspica la premiership di Maroni». Poi uno dice la coerenza. Ne ha per tutti il direttore di Libero: «L'unica "diversità" del PD e solo tecnica e non morale: si faceva pagare le tangenti con la caparra, cioè firmando un regolare contratto». Quanto al centrodestra, «Berlusconi ha avuto la capacità di costruire la storia di questo popolo all’indomani di Mani Pulite, ha tenuto insieme diversi partiti ed ha creato un movimento carismatico dando un volto alle idee».  «Non ho in mente un successore, vedevo una fiammante Ferrari lanciata sul rettilineo di Palazzo Chigi, oggi – però – il leader di ItaliaFutura Luca Cordero di Montezemolo pare fermo al palo».
 
Viene il momento dell’ex PM Tonino Di Pietro, “scarpe grosse e cervello fino”. «Rischia di scomparire fagocitato dalla stessa antipolitica che lui ha generato a fare i duri e puri si rischia di essere epurati». Si ragiona di politica stasera e si solletica l’entusiasmo della platea cortinese, assetata di notizie fresche di nottata. Lievi tiratine d’orecchie al Capo dello Stato per via dei troppi zeri della gestione del Quirinale, raffrontato alle omologhe strutture europee: «non vorrei si confondesse la persona con il ruolo, il Presidente della Repubblica è sempre stimato ma – se viole rappresentare Italiani – si candidi e scenda in campo». E Berlusconi al Quirinale? Poche chance, a detta di Belpietro.

Giovani, istruzioni per l'uso
- Audi Palace
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​Pomeriggio giovane in compagnia della ministra Giorgia Meloni, pomeriggio lontano dai luoghi comuni ove s’allestiscono le fiere del banale. Non è facile discutere dell’”età ingrata”, senza ingaggiare una lotta senza quartiere con il già detto ed il già visto. «Occorre avere la forza di raccontare le cose belle per scatenare un’emulazione positiva», l’infaticabile ministra Meloni si collega telefonicamente col pubblico ampezzano ed esorta i più a tifare per l’energia positiva che i giovani serbano per proprio spensierato pragmatismo. Elenca gli interventi del dicastero cui sovrintende: «quando son diventata ministra esistevano molti siti che inneggiavano all’anoressia e bulimia, oggi abbiam messo in piedi una piattaforma a sostegno di ragazze e ragazzi afflitti dai disturbi alimentari, abbiamo chiesto a sportivi, personaggi televisivi, scrittori e cantanti di aiutarci a – come dico io - costruire delle alleanze tra pubblico e privato, tra istituzioni e opinion makers». Causa avverse condizioni meteo, il collegamento sfugge e – dai palazzi romani – s’invoca la benevolenza della platea cortinese.
 
Sotto l’egida della padrona di casa, Iole Cisnetto, il dibattito si anima. Cesare Fiumi, che è inviato speciale del Corriere della Sera oltre che autore de “La feroce gioventù” (Dalai editore), racconta il disagio dei giovani nei confronti delle istituzioni scolastiche. Si scusa per i toni macabri e cita i picconi utilizzati da un gruppo di amici per eliminare un ragazzo del varesotto, descrive i convulsi momenti di una tragedia distratta, frutto di o squallido sabato sera e di un sanguinario divertimento. Invoca a gran voce gli “Stati Generali della Gioventù”, per evitare di perdere un intera generazione di italiani e per tentare di invocare l’intervento della classe politica, lontana anni luce da certe questioni.

Don Antonio Mazzi, presidente della Fondazione Exodus, è un prete di quelli tosti. Sincero e cocciuto, lavora da anni gomito a gomito con mille ragazzi che le cronache locali dei quotidiani definirebbero “difficili”. Contro le categorizzazioni facili si scaglia il don: «quando dai dell’irrecuperabile ad un quattordicenne, questi lo diventa. Ho permesso di conseguire la licenza media – proprio lo scorso anno scolastico – a sei ragazzi che un preside fin troppo miope aveva bollato come “persi”». Gabriella Marazzi, autrice de “Naufraghi con spettatori” (Aliberti) si chiede perché non si metta nell’agenda della politica mondiale il tema della lotta all’abuso di sostanze stupefacenti. Lamenta la truce violenza del branco che annulla le individualità nel marasma dell’emulazione.
 
A Marida Lombardo Pijola, inviato speciale Il Messaggero, autrice de “Facciamolo a skuola” (Bompiani), tocca una difesa d’ufficio dei social network, di quei «nuovi linguaggi da non sottovalutare», perniciosa è ovviamente la dipendenza che si sviluppa in conseguenza degli eccessi, non l’utilizzo che apre a mondi nuovi, all’autentica possibilità di confronto. Il rischio, sempre dietro l’angolo, è la trasgressione finalizzata alla pubblica rappresentazione. Servono, per concludere, tanto tatto e molta empatia e pochi pregiudizi per riuscire a comunicare con la parte più viva di questo Paese. Fioriscano le passioni, e gli adulti siano abili ad accudirle, il monito di don Mazzi vibra attraverso l’Audi Palace e – ci auguriamo – germoglia nei cuori di chi ci crede.

Ma che razza di popolo siamo. Difetti e (pregi) degli italiani
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​Pendete un giornalista, uno scrittore ed un conduttore televisivo; scegliete come argomento di discussione "pregi e difetti di noi Italiani": il risultato, pirotecnico – a dire il vero – è garantito. Oliviero Beha, Bruno Gambarotta, Michele Mirabella si confrontano sulla parabola etica ed estetica dei nostri concittadini, dal Neorealismo al cyber spazio passando attraverso una nostalgia pacata e cortese per i bei tempi andati.

Il dubbio è risolto in fretta, questo popolo merita molto più di quanto gli tocca. È superbo ed ambizioso, molto più capace della classe dirigente che lo amministra. C’è spazio per i rimpianti, stasera, per i rimorsi – forse – ed anche per i progetti. Non ci si può rassegnare, la Penisola è capitale di talenti. Il cortocircuito intellettuale poggia su un analfabetismo di ritorno, su una pigrizia accademica e su un perverso gioco al ribasso. Credono i nostri ospiti nell’umorismo. Nell’allegria che non è mai stupida, nella risata che seppellirà., nell’ottimismo della ragione. Si prova a comprendere il ruolo dei mezzi di comunicazione di massa, media – per l’appunto – e non fine, dunque cautela: la rete è una cornucopia di informazioni talvolta vitali, talvolta pletoriche. La responsabilità è di chi maneggia il mouse o la tastiera e non dello strumento che – sia chiaro – ha contributo seriamente ad affiancare il Paese dal vuoto di notizie che lo contraddistingueva.

Scorre veloce questa serata: dal calcio corrotto (di cui Beha è massimo esperto, qui col suo testo “Il calcio alla sbarra”) alla televisione spazzatura (biasimata dal conduttore di Elisir), dalle corporazioni chiuse a difesa delle rendite di posizione alla raccomandazione come strumento per trovare lavoro e fare carriera. Critiche ai giovani studenti universitari ed alla grammatica fin troppo appiattita e semplificata. Bordate e risate: si chiude in bellezza, tra le mille gag del parterre d’eccezione.



Nel mirino della speculazione
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​Avvio sorprendente – rocambolesco, a dire il vero, per il pubblico ampezzano. Una maschera resa celebre dalla pellicola “Wall Street” difende l’attività di speculazione che – stando all’etimologia ed ahinoi! “le parole sono importanti” altro non è che «il saper guardare lontano, l’abilità di anticipare gli eventi». Sotto le mentite spoglie di un mito del capitalismo sfrenato si nasconde Angelo Ciavarella, giovane broker finanziario, protagonista del siparietto iniziale di questo uggioso pomeriggio cortinese ideato dal conduttore Sergio Luciano.  

L’economista Giorgio La Malfa è convito che le borse abbiano bisogno di quell’avidità di cui parlava Gordon Gekko, perché lo chiedono i mercati. Insiste su una sua campagna, quella sui rischi dell’euro, chiedeva anni fa cosa ci fosse alle spalle dell’euro: la moneta infatti è sempre espressione di una sovranità politica. L’euro, invece, a suo dire, era – ed oggi ancor più è – una moneta debole, frutto di un mero accordo tra paesi di un medesimo continente. La data di nascita della moneta unica fu il momento di massima disgregazione della classe dirigente comunitaria, occorreva rinsaldare l’architettura geopolitica del Vecchio Continente. Il salentino Nicola Onorati, responsabile promozione finanziaria e family office, Monte Paschi Siena, non ha dubbi: «occorre dialogare coi risparmiatori per gestire al meglio una situazione così complessa. Viviamo una situazione difficile, si pensi al differenziale, ma il sistema Paese appare più che solido».
Carlo Gentili, amministratore delegato Nextam Partners Sgr,tifa per l’orgoglio tricolore e abbina la stabilità delle banche alla credibilità delle istituzioni. Si augura, in breve, che si possa in fretta risalire la china. Gli dà man forte Giovanni Sabatini, direttore generale di Abi - Associazione Bancaria Italiana: «l’Italia è un paese solido, sia sempre benedetto il cauto risparmio delle famiglie italiane che consentono al Paese di non essere in balia del debito». Nel frattempo il broker rivela (oltre alla propria giovane immagine) un aneddoto a testimonianza dell’incredibile incertezza dei mercati, figlia anche della frenetica ambizione degli operatori finanziari. Un saggio esperto americano, a chi gli chiedesse un’analisi sul futuro delle professioni legate ai flussi di danaro, rispondeva serafico: “Shangai, Dubai, goodbye”.

Guerra & pace
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Giornata romana convulsa e, comunque, settimana luttuosa: pare quasi che incidenti e coincidenze danzino scellerati sul palco dei teatri internazionali. Anche gl’incontri cortinesi quindi corrono lesti sul filo della diretta live delle votazioni parlamentari. I senatori nostri ospiti rinunciano alla propria presenza nel Cadore – assenza più che giustificata, sappiatelo – e, nonostante i tanti impegni, si concedono a brevi collegamenti telefonici che permettono loro di interloquire con gli ospiti in sala.

A condurre quest’incontro sul palco dell'Audi Palace la giornalista del Tg1 Tiziana Ferrario, esperta di Medio Oriente. C’è spazio per il ricordo e la commozione, è solo di ieri la notizia della quarantunesima vittima italiana in Afghanistan. Esordisce Giangiacomo Calligaris, generale di Brigata dell’Esercito italiano, e ringrazia i “nostri ragazzi” grazie ai quali «possiamo vivere serenamente ogni giorno nelle nostre città». Illustra con dovizia di particolari il ruolo dei nostri contingenti in Libia dove, a suo dire, «se mai si arriva ad intervenire, si bombarda sempre con operazioni chirurgiche e per quanto possibile selettive». Andrea Margelletti è presidente del “Centro Studi Internazionali” ma non tace il proprio orgoglio tricolore. Auspica che il nostro Paese possa ritagliarsi un ruolo ancor più decisivo nel “mare nostrum”, rivela un aneddoto tosto e vero: le popolazioni del Mediterraneo reputano l’Italia “il loro Nord”: dunque per una volta ci toccherà comportarci da persone serie. Tentare d’illuminare il Mediterraneo col faro dei diritti, in soldoni. Basta insomma a «questa guerra libica fatta “coi fichi secchi”». È importante scendere in campo con più vigore e credibilità anche – o soprattutto – per via dell’assenza degli Stati Uniti, come esorta a fare Margelletti nel corso dell’intervista a margine del dibattito.

Roberto Castelli, viceministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, parlamentare della Lega Nord, è impensierito. Ha scelto di non votare a favore del rifinanziamento e tiene a motivare la propria posizione singolare (peraltro non allineata con quella del suo gruppo parlamentare). Intanto proviamo a fare chiarezza: il decreto oggi all’esame dell’Aula comprende tutte le missioni in cui sono impegnati i nostri militari. L’anomalia libica, tuttavia, pone dei problemi di coscienza difficilmente risolubili; Castelli che – ai nostri microfoni – rivela di essere stato sensibilizzato dalla propria consorte, da sempre impegnata in organizzazioni umanitarie, e si chiede perché mai non si investa di più in cooperazione internazionale, anziché in missioni come quella in Libia che umanitarie non sono. Autorevole l’intervento di Mauro Del Vecchio, un tempo generale Corpo d’armata, oggi parlamentare del Partito Democratico: ovvio il tributo ai “ragazzi” impegnati nei tanti fronti e si sofferma sulla delicatezza del momento. Tocca poi a Barbara Contini che, da Roma, interviene nella sua doppia veste di ex governatrice di Nassirya e parlamentare del gruppo “Per il Terzo Polo” (che comprende i senatori di FLI ed ApI) e precisa che – per il senso di responsabilità che ha da sempre animato il suo impegno politico – non potrà che votare a favore del rifinanziamento delle nostre missioni. Guido Crosetto, sottosegretario alla Difesa, è ecumenico: si dice convinto che i gruppi ritroveranno l’armonia e testimonieranno alle truppe impegnate nei diversi scenari mondiali il proprio decisivo sostegno. 
 
Se davvero sarà così lo scopriremo la nelle prossime ore, il widewall in sala stampa (sempre collegato con la diretta dei lavori parlamentari) si colora di rosso ed invita a cambiare canale. Seduta sospesa.


Italia o Italie
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Singolare o plurale, questo è il dilemma. Se sia una, la Patria, o tante e plurali le nostre identità. A dirimere la vexata quaestio ci provano gli storici Giordano Bruno Guerri ed Ernesto Galli della Loggia.

Facciamo così, fingiamo per un attimo che tutto sia perfetto e chiediamoci – come fa l’editorialista della testata di via Solferino – se il nostro parlarci addosso non rischi forse di ingolfare i tubi di scappamento di una rassegnazione pigra e miope. Alziamo lo sguardo, quindi, e cerchiamo altrove guai simili ai nostri, non per godere coi compagni di sventura ma – perché no? – per rileggere la “storia con gli occhi della geografia”, rinunciando infine alle lagne ed alle nenie. E contestualizzando, ecco la parola chiave.

«Commissariare il Meridione». La provocazione non si fa attendere, oggi “il giudizio storico retrospettivo” scivola nell’analisi in tempo reale, si direbbe, delle nefandezze amministrative del Mezzogiorno d’Italia. E qui Giordano Bruno Guerri non ci sta. I meridionali non possono vedersi attribuita quella che lo storico definisce “la colpa della pennichella”, c’è qualche responsabilità più diffusa che non può attribuirsi ai cittadini. Cristo si è fermato ad Eboli, insomma – non solo letterariamente, s’intende. Al Sud l’Unità è stata spesso subita e ancora oggi si sopporta la genesi schizofrenica del Partito Padano in funzione anti meridionalista, nonché dei gruppuscoli sudisti uguali e contrari. Finanche D’Azeglio, quello celeberrimo del “fatta l’Italia, occorre fare ora gli Italiani”, pare abbia confidato ad un amico di penna: «unirsi coi meridionali è come giacersi con un vaioloso». Ingannati e contenti, in estrema sintesi. Insorge Galli della Loggia, e cambia obiettivo. Mira, punta e spara contro l’Europa, apostrofandola come «un condominio francotedesco a base carolingia», una terra sventurata in cui la nostra Penisola svolge un ruolo più che marginale. Escluso dal banchetto dei potenti e ridotto a succursale di decisioni imposte.


Enrico Cisnetto corregge il tiro: «il nostro Paese, in cui trionfa un’idea sghemba di federalismo, è fin troppo campanilista e federalista. Proporrei un timido ritorno al centralismo, lancio qui l’idea, al fine di ristabilire l’ordine». Annuiscono gli ospiti. E ragionano di futuro: qui, al fresco del Cadore, si lavora alla Terza agognatissima Repubblica. Transizione lenta, ma indolore: ci si augura. E rinnovamento totale della classe dirigente. A Cortina c’è spazio per i sogni.  


Il cibo, che spettacolo
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Spettacolo da leccarsi i baffi, tutt’altro che la solita minestra riscaldata. Si mangia, insomma, e si discute di cucina: una vera elegia del cibo, non una nostalgia dell’epoca andata.

È l’anno dei fortunatissimi bestseller culinari, ne avrete certamente uno sul comodino, o sul lavandino (ammesso che siano anche idrorepellenti, oltre che campioni d’incassi). Ed anche qui a Cortina riscopriamo saperi e sapori in compagnia dell’incontenibile Bruno Gambarotta, scrittore (e vi riveliamo un segreto: a settembre un suo nuovissimo romanzo invaderà le librerie, si tratta proprio di una sonora canzonatura dei professionisti della copertina e del tovagliolo). Per dare la misura del ritmo, basti una battuta - al limite della scomunica - dello stesso Gambarotta: «gli esperti confermano, parlare di cibo in tv fa salire lo share di un sacco di punti. Pare che addirittura qualche buontempone abbia consigliato al Sommo Pontefice di scodellare qualche maccherone nel corso dell’Angelus al fine di racimolare una dozzina di tele fedeli in più». Sapidissima la sua conduzione, superbo il parterre: la bellissima Emanuela Folliero, conduttrice di “Benessere” su Rete4 oltre che autrice de “I bellissimi in cucina” (Cairo Editore), il saggio Paolo Marchi, curatore di “Identità Golose”, l’emozionato Stefano Bicocchi in arte Vito, attore comico ed autore de “È pronto in tavola” (Pendragon), il professionale Alessandro Torcoli, direttore La civiltà del bere e coordinatore Vino Vip Cortina, il nostalgico Beppe Bigazzi, giornalista, gastronomo, autore con la propria consorte de “365 giorni di buona tavola” (Giunti).

Ingolosiscono gli ospiti e stupiscono ancor più la platea di Cortina InConTra gli chef Maurizio Bottega e Alessandro Polver di Electrolux Chef Academy” che – per l’occasione – ha allestito un vero e proprio angolo cottura con tanto di fornelli ad induzione e forni a vapore. Ai cuochi scappa una battuta probabilmente memorabile (che sa di slogan pubblicitario, ma è indice di stupore sincero): «Questa non è magia – signori e signore – è tutta tecnologia». Invadono con profumi gustosi gli angoli dell’Audi Palace di Cortina, solleticano i palati più esigenti con assaggi prelibati. Focaccia della nonna, polipo e patate, maiale intinto nella marmellata di mela, dessert in fundo. La platea assapora e s’emoziona. Sorride alle perle culinarie degli ospiti sul palco. Con Bigazzi che s’indigna per la scelta scellerata degli ingredienti da parte delle massaie d’Italia, la Folliero che racconta di come, nel suo testo in libreria, abbia voluto raccontare le ricette dei cibi consumati delle celebri pellicole della storia della cinematografia internazionale (da “Piovono polpette” a “Forrest Gump”), il comico Vito che fa sganasciare gli astanti col suo sketch sul cuoco milanese slowfood, velocissimo e svuotare le tasche dei clienti con delle mini truffe onomastiche e con pochi piatti ma destrutturati – in perfetto stile Ikea. 

La serata, tra le più coinvolgenti di questo avvio di kermesse, si chiude tra le bollicine. Cibo e benessere, di questo s’è parlato: vorrete che manchi un brindisi alla nostra?


Liberali e cattolici, alleanza inevitabile
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​Dibattito colto e pacato questo pomeriggio, nella tensostruttura ampezzana dell’Audi Palace. A confrontarsi Giovanni Maria Vian, direttore de “l’Osservatore Romano”, Giorgio La Malfa, parlamentare, curatore de “Sono un liberale?” (edito da Adelphi), Salvatore Carrubba, editorialista de Il Sole 24 Ore e Lucetta Scaraffia, docente di Storia Contemporanea e giornalista. Conduce con garbo e grazia il professor Corrado Ocone, filosofo, editorialista de Il Mattino e de Il Riformista.


La storica Scaraffia, che magistralmente ci confida nel backstage quanto sia affascinata dalla figura storica di Silvio Pellico, uno dei tanti cattolici che – come illustra il suo nuovo testo – “hanno fatto grande l’Italia”, chiarisce senza rancore che, per garantire una discendenza alle famiglie omosessuali, si rende necessario il ricorso ad operazioni di ingegneria genetica (per dire: utero in affitto, ad esempio), rifuggendo dunque da un rapporto naturale. Inevitabile, a suo dire, il senso di forte spaesamento per il figlio di una coppia omosex: la modesta soluzione proposta è quella delle “famiglie arcobaleno”, casi anomali in cui coppie diverse si legano per poter procreare ma mantengono la propria identità sessuale.

A lei risponde l’onorevole La Malfa, nostalgico di un periodo felice che gli storici hanno ribattezzato di “concordia discors” (ovvero di soluzione dei contrasti tra gruppi ideologicamente eterogenei), rievoca inoltre i momenti sintonici della Prima Repubblica in cui statisti di diversa estrazione politica, per dire: De Gasperi e La Malfa, sedevano attorno allo stesso tavolo – abbandonate le pettorine dell’appartenenza – per riscrivere la storia di un nuovo Paese. Di questo si dice convinto: «è raro che siano le minoranze ad essere intolleranti, arroganti in genere sono le maggioranze. Ergo, non è del tutto vero che siano i laici ad alzare la voce. A farlo sono troppo spesso i cattolici». Giorgio la Malfa,  oggi deputato del Gruppo Misto comunque eletto tra le file di questa maggioranza, s’indigna contro l’apertura delle sedi dei ministeri al Nord Italia ed auspica che, in certi casi, sia il sentimento della vergogna a prevalere.

Getta acqua sul fuoco l’editorialista Carrubba: «il guaio è che, alle certezze dei cattolici, spesso si oppongono quelle dei laici, per esempio: che dire della posizione di Odifreddi che -seppure etichettata come capolavoro di laicità- rappresenta un punto di vista evidentemente scientista». Ovvio che a poco giovi il muro contro muro delle fazioni avverse. Carrubba non manifesta alcuna nostalgia per la Balena Bianca. La storia dei cattolici impegnati in politica rischia insomma di rappresentare un luogo comune, la sua diagnosi è dirompente: «piuttosto sparpagliamo i cristiani in tutti i partiti, sperando che questi –quanto a numero– siano il meno possibile».

Chiosa il direttore Vian, convinto che sui temi della bioetica finanche la ragione possa rappresentare un utile ed importante strumento di analisi e sintesi. Positiva l’impressione complessiva per il moderatore Ocone che si dice felice per il clima degli incontri ampezzani, Cortina –come sempre– rappresenta un’oasi di riflessione quieta e saggia, un appuntamento imperdibile per gli appassionati dell’attualità in vacanza.


Big Bang, stelle e buchi neri
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​Notte stellata a Cortina (nonostante le nubi plumbee che occultano le Dolomiti: il che è tutto dire). Ad accendere l’entusiasmo ci pensano l’astrofisica Margherita Hack ed il teologo Vito Mancuso. Elevato incontro di menti brillanti, gara d’intelletti come pacifico duello tra schermidori pensanti.


Lievemente, l’astrofica riassume quella che il teologo definirebbe “Creazione”: «L’esperimento è facile, in una provetta uno scienziato inserì miscugli di atomi simulando un oceano primordiale, dopo settimane in quello stesso brodo scientifico si erano formate molecole complesse». Ora, immaginate di poter riprodurre la prova ardimentosa in uno spazio grande quanto – chessoio – l’universo, l’effetto sarebbe sorprendente. L’opera divina riprodotta in laboratorio fa storcere il naso al teologo Mancuso, fervido cultore di riti e fedi innamorato persino – lui, cattolico – del politeismo ellenico. Vede uno spazio decisivo per il ruolo del Padre pantocratore negli istanti dei primi vagiti del globo, «materia deriva dal latino mater, così come energia significa al lavoro». Sono dunque, secondo lui, le radici stesse dei termini che comodamente ogni giorno maneggiamo a rivelarci l’impronta discreta di una mano sapiente. Il dubbio aleggia in sala, a ravvivarlo l’obiezione della grande scienziata italiana che si chiede (sgomberando il campo da ogni tesi creazionista o ancora evoluzionista in due semplici mosse) se l’universo non sia forse sempre esistito. E se, dunque, ogni nostro brillante dibattito non sia piuttosto pletorico ed insensato. Insensato no – la risposta non si fa attendere – giova, in ogni caso, riflettere e ragionare. Accendere, insomma, oltre ai neutroni anche i neuroni. La simpatia della Hack è contagiosa, si lambicca in un paradosso spassionato (da pronunciare con spiccato accento toscano): «c’avete ragione voi Cristiani, ci vuole coraggio a non credere in Dio: avete visto quant’è bello il cielo zeppo di pianeti ed asteroidi?».

Non lesina critiche all’attivismo fin troppo ingerente delle gerarchie vaticane, la Hack, incassando finanche l’assenso del moderatore Salvatore Carrubba quanto alla “discesa in campo” dei parroci italiani al momento del voto referendario sul quesito inerente l’approvvigionamento idrico, e cita il Pontefice tentando di smentirlo: «Avidi e arroganti sono gli scienziati quando e se vogliono sostituirsi a Dio». Fa da sponda Mancuso: «il gas primordiale è felice quando pensa il bene, anche in questo incontro la presenza di un Essere grande: son solito definirlo per l’appunto Essere-Energia per sgombrare il campo dai dubbi circa la geniale potenza del nostro Dio». Cita poi uno dei più grandi filosofi del Novecento, mutuato dagli insegnamenti del suo padre spirituale, il cardinal Martini: «la differenza non è tra chi crede e chi non crede, ma tra chi pensa e chi non pensa». Silenzio cogitabondo in sala. Immersi nel mistero che le mille religioni interpretano in modo diverso, non si può rinunciare all’idea di una Divinità caritatevole. L’emozione è assicurata, la commozione pure. «Quando penso al cuore, ad un grande cuore, ad un animo magnanimo, Mahatma - direbbero altrove - beh, in quella anima grande e pronta a darsi all'altro con generosità, lì c'é il mio Dio». L’epilogo è dei più gustosi. Incalza l’editorialista del Sole 24 Ore, con uno di quegli enigmi che levano il sonno: «Siamo soli nell’Universo?», il battibecco è in realtà un condensato di sorrisi. «Macché, tutt’altro, ci sono buoni indizi per affermare che organismi elementari possano svilupparsi anche altrove», «del tutto plausibile, il nostro Dio è senz’altro generoso», «eppoi, sarebbe un tirchio sennò, già che c’era – lì a costruire il mondo – poteva donare la vita anche a qualche altro posto».

Applausi scroscianti in sala, e non perché questa forma illuminata di appeasement rappresenti un accomodamento intellettuale, ma perché in una fresca serata di luglio si scopre come le nostre barriere mentali siano fin troppo facili da scavalcare. Perché le idee forti non mentono, e convincono.


I nostri prossimi 150 anni
- Audi Palace
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​Dei prossimi Centocinquanta anni si parla ovviamente, e non solo degli scorsi. Sul palco della kermesse ampezzana, un ospite d'eccezione: il ministro della Pubblica Amministrazione e dell'Innovazione, Renato Brunetta. Non si risparmia l'onorevole, niente perbenismi istituzionali o cordiali “volemose bene” per il sabato inaugurale degli appuntamenti di Cortina InConTra.

Partiamo dal tema caldo di questi giorni roventi. Avete in mente il clamore suscitato dalla pagina facebook di SpiderTruman, la sedicente spia dei "Segreti della Casta di Montecitorio", oppure la furia iconoclasta dei tanti internauti al grido "twitterato" di #bastacasta? Ecco, ci siam capiti: la risposta iperbolica del ministro veneziano non si fa attendere. «Provo amarezza ed anche un po’ di fastidio nel farmi fare la lezione sui costi della politica da qualche Montezemolo o Marcegaglia, e non perché abbiano colpa della crisi ma perché la loro analisi, a mio avviso, non è corretta». Il titolare del Dicastero della Funzione Pubblica tuona contro i comportamenti perversi della finanza privata e si scaglia conto il ricorso fin troppo allegro alla distribuzione di stock options, ovvero del diritto di acquistare ad un dato prezzo le azioni della società che si amministra - il che rischia di rappresentare, d'altra parte, un incentivo a far crescere smisuratamente il valore delle stesse, gonfiando artatamente cifre ed indici di bilancio. E se, invece, si tentasse di abolire o ridurre o accorpare -fate voi- le troppe Province italiane? Per nulla, risponde il ministro. «Ci sarebbe la rivoluzione il giorno dopo - è questa l'idea di Brunetta -, e non per via dei dipendenti imbufaliti». Giacché - peraltro - costoro verrebbero al più trasferiti in altri uffici, e questi - per inciso - rappresentano, stando ai dati ministeriali, il 90% dei costi di quegli enti. Altro che: a lagnarsi sarebbero addirittura i cittadini (gli stessi che oggi non nascondono, per usare un eufemismo, la propria insofferenza per i costi eccessivi della macchina amministrativa a base decentrata), visto che essi vedono nelle strutture provinciali l'ultimo baluardo nell'erogazione dei servizi.

«Sto bene dove sto, ma io sono un soldato» ha sostenuto poi il ministro, incalzato dal fuoco di fila di Enrico Cisnetto quanto all’ipotesi di un’eventuale nomina a ministro della Giustizia. Quanto alla politica del Palazzo, bruciano ancora (almeno così pare) le ferite provocate dalla lacerazione del gruppo finiano. Bordate illustri, stasera, per il presidente della Camera, oggi leader di Futuro e Libertà per l'Italia: «il presidente ormai non più super partes, svolge forse un ruolo non auspicabile per le istituzioni». Addio al ruolo di garanzia insomma che, da sempre, i presidenti delle Camere hanno ricoperto? Brunetta insiste: per combattere una battaglia politica da oppositore del premier, occorrerebbe rassegnare le dimissioni dallo scranno più alto di Montecitorio, scendere nell’arena e lottare a mani nude. Si arriva al dunque, infine. Il terremoto finanziario di queste settimane (o di questi anni?) minaccia le mura tutt’altro che solide della maggioranza in carica, ma il ministro (fino a pochi mesi fa in testa alle classifiche di gradimento dei membri dell’Esecutivo) non pare angustiato dagli scricchiolii attuali: «fra due anni andremo alle elezioni con la coscienza pulita per aver salvato l’Italia dal mare burrascoso della crisi». La tanta, o troppa, certezza circa la data del prossimo appuntamento elettorale spinge il giornalista Enrico Cisnetto ad insinuare qualche dubbio sulla tenuta della coalizione, tuttavia il ministro è perentorio (oltre che sagace): «andremo a votare alla scadenza naturale del mandato, perché è vero che noi siam messi male, ma gli altri stanno anche peggio». La carne al fuoco è tanta e, fuor di metafora, stasera si parla anche di cibo.

Di succulente leccornie all’ombra dei millemila campanili d’Italia. In compagnia dei gastronomi Fabrizio Nonis e Massimo Bottura, oltre che del professore di Antropologia alimentare Giovanni Ballarini, il ministro si fa nocchiero di un viaggio gustosissimo attraverso i sapori tricolori. Come sempre, il palco di Cortina sorprende il suo pubblico. E non dite che sia tutto finito “a tarallucci e vino”.

Cos'hai nel cervello
- Audi Palace
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​La “melodia cinetica dei nostri movimenti” illustrata sapientemente dal neurologo Giacomo Rizzolatti, direttore del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università Parma ed autore di “Nella mente degli altri” (Zanichelli) e “So quel che fai” (Raffaello Cortina) offerta al “catturato” pubblico dell’AudiPalace nella serata di mercoledì 3 agosto 2011. Pare cosa eclatante, ma le sue sensazionali scoperte sono state addirittura inserite in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia nella top ten di quelle prodotte dal genio dei nostri scienziati di sempre. Cercate alla voce “neuroni specchio”, se non la trovate: poco male. Abbiamo qui uno degli inventori della teoria, l’unico o forse il migliore a spiegarvela. Da tali neuroni si genera quel processo chiamato “empatia”, per cui possiamo prevedere, comprendere e imitare quello che fanno, provano e dicono gli altri (ma si badi: il professore preferisce utilizzare altri termini, magari più scientifici, per evitare confusioni). Immedesimarci nelle azioni altrui è qualcosa che facciamo ogni giorno, automaticamente e senza neppure farci caso. Oggi vogliamo andare oltre l’empirico, però. Se mai si possa “penetrare nella mente del prossimo” è quesito affascinante e fin troppo suggestivo, ma di questo si tratta.


Sapreste per caso localizzare le emozioni nel cervello? Ve lo insegniamo qui a Cortina. Un esperimento fatto in Francia ha dimostrato che – a contatto ravvicinato con cibi di diverso tipo – ad uomini ed animali si attivano contemporaneamente le stesse aree del cervello. Stesse sensazioni, insomma. E stesso meccanismo di “imitazione comportamentale”. Pensate ai ballerini che si esercitano agli specchi, la loro dimensione “mirror” è fortemente attivata dall’emulazione: più del ballo a coppia, vale in questo caso l’imitazione di un proprio omologo (i ballerini maschi insomma preferirebbero ammirare altri uomini, e viceversa). O ancora, si è dimostrato che un bambino appena nato risponde con una smorfia ad una linguaccia: proprio questi gesti attiverebbero il rapporto madre - figlio che si sviluppa nel corso dei primi mesi. La tendenza all’imitazione ha un risultato immediato: saremmo noi umani predisposti al bene (ovvio: se ci sia capitato nella vita di osservarlo, il bene – s’intende), al contrario: a forza di scrutare il peggio, si finisce col divenirne esecutori. Anche di autismo discutiamo e di un suggerimento da cogliere al volo: le analisi nei primi mesi di vita consentono diagnosi veloci in grado di rimediare al disturbo.

Non troppo spesso capita di assistere a lezioni di tale calibro. Il pubblico riserva i propri dubbi al question time a margine della lectio magistralis. Una madre chiede come si comportino i neuroni del suo bimbo e la risposta dello scienziato è un capolavoro di buon senso: «se lei sarà una buona madre, il vostro rapporto neuronale sarà ottimo. Al contrario: buona fortuna». Il volto umano della scienza sorride da dietro a simpatici occhialetti, si agita vispo ticchettando sulla tastiera del computer da cui emergono le riprese di imperdibili di alcuni test sulle scimmie. Scimmie dal volto umano, ovviamente.
 

Alla scoperta dell'economia del futuro. Parola di astronauta
- Audi Palace
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Partiamo dallo spazio, restando coi piedi fissi per terra. Il futuro, ce lo hanno insegnato, un tempo si diceva fosse digitale. Oggi, lo scopriamo insieme, si può dire sarà “ottico”. Serve avere la vista aguzza quindi, e non solo. Pensate ai giornali: quanti di voi continuano a comperarli (vi sarà certamente capitato di trovare oggetti di ogni tipo in edicola oltre alla carta stampata) e non si sono ancora convertiti alle edizioni destinate alla consultazioni su dispositivi mobili? Ecco, avete centrato la questione. Qui si discute di futuro («il futuro esiste, ma ci stiamo scordando di lui: non innovando rischiamo di non offrire una casa ai nostri figli», ricorda a gran voce Francesco Caio, amministratore delegato Avio) in compagnia di aziende e governo (nella fattispecie, rappresentato da Mario Valducci, presidente della Commissione Trasporti alla Camera dei Deputati). Qui il futuro è cominciato da un pezzo, rassegnatevi o dateci dentro. L’onorevole – dopo un produttivo dibattito sul ruolo del sicurezza stradale, in cui ha annunciato diverse novità quali, tra le altre, l’introduzione del reato di omicidio stradale – si augura che l’assemblea segua i suoi consigli e ne approvi la proposta. Che – in una parola – scommetta su innovazione e progresso fatti di tecnologia (dirà poi: «il problema oggi non è tanto il cavo, quanto lo scavo. I costi maggiori sono quelli destinati al rifacimento del manto stradale, infatti»). 

Di “over the top” si discute oggi, vale a dire di quelle aziende che macinano successi e contribuiscono ad ammodernare anche il nostro Paese: Huawei, Metroweb, Avio – solo per citarne alcune, oggi qui ben rappresentate sul palco di Cortina InConTra. Ovvio che la politica debba investire in innovazione, l’artigianato del terzo millennio sarà il manutentore delle reti internet o ancora il protettore delle stesse dalle aggressioni di quei mattacchioni dei pirati virtuali. Ovvio ancora che comunicazione ed infrastrutture viaggino – è il caso di dirlo – su binari paralleli: gli ospiti tecnici (Roberto Loiola, Vice President of Huawei Western-Europe, e Alberto Trondoli, amministratore delegato Metroweb) citano il caso milanese, la rete ottica della città eccelle, infatti, e rappresenta un successo di livello europeo, tuttavia l’80% della rete italiana è tutta concentrata lì. A pochi chilometri dall’eccellenza, insomma, esistono aree ancora distanti anni luce dalla modernità. L’agenzia italiana spaziale qui è ottimamente rappresentata, pare addirittura – parola di Pierluigi Di Palma, vicesegretario generale Ministero Difesa – che il nostro Paese sia leader in campo europeo. Annuisce dal palco l’astronauta Umberto Guidoni e sorride quando il moderatore Massimo Sideri (giornalista della testata di via Solferino e coautore de “Banda stretta”) confessa un aneddoto: al proprio figliolo che chiedeva come si potesse raggiungere quella palla gigante che è la luna ha risposto sinceramente: «ora lo chiedo ad un signore che quasi ci è stato e di certo ne sa più di me».

Valga un battuta icastica a dare il senso delle cose. Quando l’ideatore di Facebook, Mark Zuckerberg, ebbe un incontro riservato con mister Obama pare che qualche giornale abbia titolato: “l’uomo più potente del mondo incontra il presidente degli USA”. Il futuro non è più quello di una volta, sappiatelo.
 


La politica. Xè un pastròcio
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​Il ministro Giancarlo Galan arriva spedito e sorridente all’ombra delle Dolomiti, per un incontro dal titolo vernacolare “La politica? Xè un pastròcio!” nell’ambito della rassegna Cortina InConTra. Gioca in casa, armamentario tirolese e spilletta di Forza Italia appuntata sulla giacca. Intanto si sa che – di lì a un’ora – il Cav. terrà una conferenza stampa al fianco del superministro Tremonti e del sottosegretario Letta. Dice di non saperne nulla, Galan, glissa e parla d’altro: «Tremonti non m’ha avvisato», confessa, alludendo ironico al suo rapporto notoriamente gelido con l’illustre collega.

La sua posizione da libero battitore è consacrata dagli applausi a scena aperta del pubblico ampezzano: all’arrivo abbraccia e bacia gli astanti, saluta gli amici e non si nega una passeggiata a piedi in giro per il centro. Poi si mostra deciso: «Berlusconi deve tirar fuori tutta la capacità innovativa di cui è stato capace, come fece a Vicenza con gli industriali anni fa». Il suo giudizio sulla manovra è duro ed affatto rassicurante: «è il meglio che potessimo fare. Mancano atti di coraggio veri, però, ed è mancata principalmente la rivoluzione liberale. Ho tre proposte secche: lo Stato venda tutto quello che non gli è necessario, dalle azioni nelle partecipate al demanio (pure le “tofane” se è necessario, tanto son Patrimonio dell’Umanità e mica ci si può costruire sopra), si semplifichi la vita dei cittadini (a cosa servono le Camere di Commercio, il “certificato antimafia”, il D.u.r.c. - vale a dire il documento sulla regolarità contributiva?). Si aboliscano in fretta le province, senza se e senza ma. Ed infine si aiutino i piccoli Comuni ad accorparsi tra di loro». Il padrone di casa, Enrico Cisnetto, prende l’applauso con l’obiezione più naturale che ci sia: «se un alieno sbarcasse qui ed ora, penserebbe che lei sia il capo dell’opposizione più dura».

Incassa, poi spiega: «La spilletta di F.I. non è segno di nostalgia, ma voglia di riaffermare che siamo stati capaci di fare le cose bene». Ricorda che, a suo avviso, la sinistra italiana manca di proposte, mentre il centrodestra non ha avuto nel tempo il coraggio di attuare le tante idee in cantiere. Poi arriva la proposta che farà notizia nelle prossime ore: «Il Dicastero dell'Economia va tagliato in due, secondo la proposta dell’ex ministro liberale Antonio Martino, uno per le entrate l'altro per le uscite. È errato - continua - che sotto un unico ministro, Tremonti, siano gestiti le entrate, le uscite e il potere di controllo delle stesse. È, la mia, una convinzione che prescinde dal cognome del ministro, ma vale ancor più se si tratta di Tremonti». Secondo il ministro veneto l’elettorato ha dato tanto credito alla coalizione di centrodestra, prima e dopo la vittoria elettorale del 2008, dunque c’è ampio spazio per il rammarico: «Per i primi due anni siamo stati il miglior governo della storia d'Italia. Lo siamo stati fino al discorso di Berlusconi di Onna (era 25 aprile 2009, immediatamente dopo il terremoto de L’Aquila), poi qualcosa si è rotto definitivamente. Da lì in poi, non ne abbiamo più azzeccata una. Prima Fini, poi Brancher, quindi Noemi e altro ancora».

Berlusconi, però, non si tocca: «C’è chi gli chiede un passo indietro, io invece lo sollecito a fare tre passi avanti». Per ciò che attiene l’alleato leghista, Galan puntualizza che Bossi fa il suo mestiere: cerca di prendere i voti nell'area di centrodestra; nulla da rimproverare ai lùmbard – insomma – le tiratine d’orecchie son tutte per quelli che il ministro definisce “i miei”. «Con la Lega siamo e saremo alleati – aggiunge - e ci faremo una dura competizione interna. È quella più sana». Su Tremonti il ministro padovano ritorna icastico e sarcastico: «Non si tratta di simpatia o antipatia: Tremonti ha una visione della vita e della politica diversa dalla mia. Io sono un liberale convinto, Tremonti appartiene ad un’altra scuola: quella socialista. Ma si può stare insieme, non c’è problema: l’avversario è un altro». Va a ruota libera e non si trattiene, la premessa è la solita: «Fossi un abile politico direi una roba cerchiobottista, ma non ne capisco nulla di giochetti e mi toccherà dirvi la verità». Quindi – qui in sala c’è il gelo - «son convinto che andremo a votare nel maggio del 2012 perché nel frattempo il mondo è cambiato e noi non ne abbiamo tenuto conto».

Bordate, ma riguardose, per i leader del centrosinistra: vinceremmo tanto contro Vendola quanto contro Bersani. Il primo è stato «un Governatore disastroso per la Puglia, ha dato una pessima prova e lo sanno tutti», il secondo invece «mi è simpatico, ma era più bravo da presidente dell’Emilia Romagna che da capo del politburo del PD». Le battute finali son tutte dedicate alla Cultura ed al ministero che dirige da poco, dopo le dimissioni del coordinatore PdL Sandro Bondi: «Nulla di male se Della Valle finanzia il restauro del Colosseo. Direi: “dieci, cento, mille” Della Valle, giacché con i soli denari delle tasse non riusciremo mai a recuperare il nostro patrimonio d'arte. Occorrono a forza gli investimenti dei privati». Intanto giunge in sala la notizia del rinvio di mezz’ora della conferenza stampa in cui il premier annuncerà il pareggio di bilancio entro il 2013. È qui che Galan rivela tutta la sua ironia per la poltrona più discussa del Consiglio dei Ministri: «Son lì che prendono appunti di ciò che dico io qui a Cortina, ora vedi: vanno in onda e ripetono le mie proposte a loro nome».

La soluzione per i guai di questo Paese malandato, fosse per l’ex Governatore della Regione Veneto, sarebbe rapida ed indolore: «Non basta usare l'aspirina per risolvere problemi così gravi». Tocca una terapia d’urto, pare di capire, e in sala qualcuno scherza macabro: «Ci toccherà la supposta, come sempre». 
 

BONOLIS IN ARTE PETER PAN
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​Dici Bonolis e dici divertimento assicurato. Sala stracolma ed affetto incontenibile. Risate da sganasciarsi per il conduttore più amato dagli Italiani che, invitato a sistemarsi al pianoforte, esordisce così: «Non so suonare neanche il citofono!». A proposito dell’idillio con la spalla di sempre, bonolis è chiaro: «non so se sia lui la mia spalla o viceversa. Luca Laurenti – per ciò che en so io – è una fase di stallo dell’evoluzione, un essere mitologico metà uomo metà citofono. Spesso mi fanno una certa domanda, banale a dire il vero. La mia risposta è sempre la stessa. Laurenti non ci è né ci fa, costui è altrove». Le risposte girano come losanghe in un caleidoscopio.

Bartoletti decide di “copiare” il format bonolisiano dell’intervista con le foto (ed i video delle dirette imperdibili in cui i concorrenti da casa fanno uno show personalissimo tutto basato sul quiproquo), come a “il Senso della Vita”. Belle contro brutte, atei contro credenti, bianchi contro neri, magri contro ciccioni: il conduttore spiega che rompere la cortina dei pregiudizi all’inizio non è stato facile (ad esempio, scovare 50 omosessuali da portare in tv a rivendicare il proprio orientamento, nei primi anni della fortunata trasmissione, era cosa impervia e politically uncorrect). Svela anche uno dei trucchi del successo, è – infatti – la moglie Sonia a fare i casting delle sue trasmissioni, a scovare talenti ed individuare casi umani.

Introspezione pura: «Son diverso da Mike Buongiorno che accettava le risposte dei concorrenti così come venivano. Se uno mi risponde che i Beatles erano 41 io lo voglio psicanalizzare e devo capire cosa abbia subito nell’infanzia». E spazio all’emozione: «Volevo fare l’esploratore ma è stato già esplorato tutto, cerco allora di esplorare l’animo umano e mi limito ad essere curioso». Amarcord dei sentimenti: «la nostra tivvù è diventata a colori, ora anche il diaframma tra bidimensionalità e tridimensionalità potrebbe cadere. Non funzionano più i programmi per ragazzi di una volta quando dicevi una cosa e ti credevano».

Bisogna sperimentare, allora, e scommettere sulla sincerità. Annuncio in corso, Mediaset ospiterà il suo nuovo programma nel preserale: «spazio dove ci si divertirà e si vincerà con l’acume, senza ansia ed angoscia». E senza perdere quello che Bonolis definisce il “diritto alla meraviglia”.

ECONOMIA & POLITICA, POTERI DEBOLI
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Cesare Romiti, presidente della Fondazione Italia-Cina e “vecchia volpe” dell’imprenditoria nostrana è preoccupato: «La crisi è diffusa e non solo di carattere europeo, ci troviamo di fronte ad una modificazione importante della situazione mondiale. Occorre riflettere. Non c’è nulla di peggio del creare disparità fra ricchi e poveri». Poi prosegue: «Guardando la tv, mi sono domandato se si possa andare avanti così. Non sembriamo preparati. Quando si commettono errori, c’è un principio sacrosanto per cui -se si sbaglia- il sentimento più forte che ci anima occorre che sia la vergogna, sincero e salubre». Sia scalda, poi, colui che nella sua vita ha salvato per tre volte la Fiat ed è stato a capo della Rizzoli - Corriere della Sera: «Il ministro Nitto Palma in vacanza in Polinesia e Berlusconi che per ferragosto annuncia una scampagnata nella dacia di Putin? Così il Paese non si salva». Racconta i successi della propria esperienza orientale: «Chi ha occasione di andare in Cina, parli con la gente e senta l’orgoglio di essere cinese». Cosa che in Italia pare ormai sopita ed annebbiata. Non manca la speranza per il futuro e Romiti si dice favorevole al cambiamento, poiché «non si può andare avanti così». Poi diventa fin troppo gustoso, anche per i pubblico ampezzano che non trattiene l’ilarità. «Se Marchionne si presentasse alle elezioni lei lo voterebbe?»: chiede malizioso Enrico Cisnetto, padrone di casa a Cortina InConTra. È un secco “no” la risposta del grande dirigente italiano, uno schiaffo all’“Americano”.

Stefano Folli, il saggio e cauto editorialista de Il Sole 24 Ore, si complimenta con patron Cisnetto: «Azzecchi sempre i titoli dei tuoi incontri. Ieri con “Mala tempora currunt” ed oggi con “Economia e politica: poteri deboli”. Entrambi fin troppo veri ed attuali». Passa a parlare di economia e calda attualità: «quello di oggi è un problema globale, giacché noi siamo “dentro il mondo”: anche per questo dobbiamo –però– agire come se molto dipendesse solo da noi». Colpa anche dello sfilacciamento che rende il nostro sistema politico fin troppo debole. Ora «parlare di “commissariamento” mi pare esagerato, è la solita e roboante formula giornalistica. Resta comunque il fatto che siamo sotto la tutela dell’Europa: la nostra autorità è di fatto ridimensionata». Arriva la tiratina d’orecchie alla classe dirigente “giovane e meno giovane” che «non ha saputo svolgere il suo dovere». Oggi servono risposte concrete, che la politica ha taciuto finora. Nello scorso secolo v’era invece una grande suggestione pel grande sforzo della ricostruzione, gli amministratori sulla cresta dell’onda erano stati giovani durante la II Guerra Mondiale e ne erano usciti temprati. Per il già direttore del Corriere della Sera, non servono modifiche faraoniche, d'altronde in USA hanno lo stesso sistema istituzionale da più di 200 anni, il nostro invece è un sistema giovane eppure debolissimo. Tempo di pronostici: «non c’è oggi un’opposizione in grado di reggere le sorti del Paese, sebbene la maggioranza sia in difficoltà».

LIBERIAMO L’ECONOMIA
- Audi Palace
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​Pubblico delle grandi occasioni per l’incontro con i tecnici dell’economia italiana. Presenti Fabio Cerchiai, presidente Atlantia e di Ania ed Innocenzo Cipolletta, presidente Università Trento, presidente Ubs Italia Sim, autore de “Banchieri, politici e militari” (Laterza). Si parla di economia, come risalire la china e di quanto grami siano i tempi in cui muoversi.


Antonio Catricalà, presidente Antitrust, sostiene che «non possiamo più sperare in interventi pubblici nell'economia. Oggi ci arriva dall'alto l'imposizione di fare cose difficili. Noi - ha continuato - lo dicevamo da anni che bisognava farle. I benefici delle liberalizzazione, ad esempio, non arrivano subito ma con tempi dilatati. Quando uno è malato il medico gli dice di operarsi ma guai se deve intervenire d'urgenza. Ora è il momento di intervenire - ha concluso Catricalà - è un bene doverlo fare. Ne abbiamo visto troppe in questo periodo: da imprenditori che volevano battere i monopoli, categorie che si trinceravano dietro a trincee di bieca conservazione. Ben venga questo vento innovatore, purché venga. Per Enrico Giovannini, presidente dell'Istat, «le imprese italiane vanno tranquillamente all'estero: ci dobbiamo domandare perché gli altri non vengano da noi. Siamo al centro di una rete infrastrutturale e centrale d'Europa. Abbiamo mano d'opera stupenda e un Paese straordinario. Ma perché non abbiamo la fila?» Ecco la risposta: «per gli altri siamo incomprensibili e lo saremo anche di più con il Federalismo. Sono dieci anni che ci chiediamo perché non cresciamo, è un anestetico lento e a dosi continue. Da qui si spiega anche perché molti giovani vanno all'estero: il nostro Paese si è adagiato su ciò che ha creato e che la generazione attuale non riesce a rinnovare».

Per Giuseppe Mussari, presidente della Monte Paschi di Siena e presidente Abi (la sigla che raggruppa tutte la banche italiane) «nulla è stato messo sotto il tappeto». Ancora, «siamo uno dei pochissimi Paesi al mondo in cui le banche non sono costate una lira ai contribuenti. Ciò è dovuto alla Banca d'Italia e alla natura delle nostre banche. Se il credito è erogato saggiamente viene erogato con una sofferenza ridotta. Questo è ciò che ci ha salvato». «Non dobbiamo più però chiamarla crisi: questa è una fase nuova se non lo si capisce si rischia il declino». A tutto campo, Mussari ha poi osservato che in un ciclo economico avverso anche il credito a famiglie soffre. «Il credito, se erogato in maniera sana e ragionevole, ha una vita anche quando va in sofferenza. Non è uno strumento finanziario che, se oggi perde il 10%, è meno 10% e, se domani perde il 50, è meno 50. Questo è quello che ci ha salvato e ci continua a mantenere in vita». Mussari ha concluso sottolineando che «noi abbiamo una strettissima correlazione tra il rischio delle banche italiane e il rischio del Paese, cioè la correlazione (qui si va sul tecnico) tra i nostri SDS e i SDS del Paese è strettissima». Dita incrociate, non c’è che dire.


COME DISTRUGGERE UN PATRIMONIO E VIVERE IMPUNITI
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​Duro atto d’accusa (trasversale ed anzi civico) di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, dal palco dell’Audi Palace di Cortina. Entrambi giornalisti del Corriere della Sera e coautori de “Vandali, L’assalto alle bellezze d’Italia” (edito da Rizzoli) Rizzo e Stella rappresentano un faro per la società civile stufa di sprechi e brutture, estetiche e – soprattutto – etiche. Dunque, sala gremita ed aspettative alte. Le immagini che scorrono sul megaschermo del palco ampezzano mortificano l’intelligenza di un popolo, quello italiano, abituato da sempre al bello.

Viaggiamo insieme lungo lo Stivale. A Pompei crolla la Schola Armaturarum, l’ultimo mosaicista è andato in pensione dieci anni fa, c’è un solo archeologo per 66 ettari di scavi, un accordo sindacale vieta agli elettricisti di salire su scale più alte di 70 cm. In Sicilia, a due passi da Selinunte, dove il tempio di Apollo resta coperto per undici anni da un’impalcatura solo perché nessuno la smonta, c’è un’intera città di 5000 case abusive di cui 800 così al di fuori da ogni norma da non rientrare in nessuno dei numerosi condoni edilizi, eppure non si è mai vista una ruspa. In un’epoca in cui le scelte turistiche si fanno sul web, il portale governativo Italia.it, dopo sette anni e milioni di euro buttati, ha raggiunto il 4500° posto nella classifica dei siti internet italiani più visitati e il 184.000° di quella internazionale. Campagne e colline vengono assaltate dalla speculazione edilizia senza ricordare quanto scriveva il grande Montanelli: «Ogni filare di viti o di ulivi è la biografia di un nonno o un bisnonno». Sono solo tre esempi dello stato in cui è ridotta una nazione attivamente impegnata a distruggere la sua unica vera ricchezza: l’arte, i paesaggi, la bellezza.

Gioco di sponda trai due, coronato dalla battuta di Stella: «siamo passati dai campi di sterminio allo sterminio dei campi». Dati e foto alla mano, si analizzano i passi del declino, lento e pernicioso. Abbandoni, crolli, incuria, restauri maldestri. Il 5 per cento del patrimonio UNESCO è ubicato nella nostra penisola. E trascurato: che sia momento di un rinascimento dell’attenzione? Tempo di riabilitare i Bronzi e spernacchiare le facce di bronzo.

Libertà e disunità
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​Metti due giganti, due giganti intellettuali rispettati e stimati su ogni fronte. Metti la congiuntura complicatissima ed un pomeriggio soleggiato. A Cortina si discute di futuro, numeri, diritti e libertà. Sergio Romano, storico, editorialista della testata di via Solferino, autore con Marc Lazar de “L’Italia disunita” (Longanesi) esordisce così: «siamo un Paese disunito eppure ancora avvolto nel tricolore». Stefano Rodotà, professore emerito Diritto civile Università Sapienza Roma, autore de “Diritti e libertà nella storia d’Italia. Conquiste e conflitti 1861-2011” (Donzelli) si lamenta del “provincialismo europeo”, che fa sì che «uno starnuto a Wall Street, è polmonite da noi».

Romano si scaglia contro il parlamentarismo marcio, criticando i meccanismi elettorali che si sviluppano nel Mezzogiorno d’Italia: «Stiamo tessendo la tela di Penelope, continuiamo a perpetuare una classe dirigente clientelare che i voti li raccoglie in quel modo, appaltando il consenso e stabilendo un meccanismo di subordinazione nociva». A proposito del recente dibattito politico sulle ricette per uscire dalla crisi, l’ex presidente dell'Autorità per la Privacy ha invece sostenuto che «l'articolo 41 della Costituzione tutela la libertà di impresa; nessun imprenditore ha mai avuto problemi con questo testo, si tratta problemi di legislazione ordinaria minuta. Se si scriverà - come qualcuno propone - “tutto ciò che non è vietato è concesso” si darà fortissimo incentivo a legiferare, perché si dovrà scrivere una serie di norme nuove per evitare che ci sia la tanto temuta “sopraelevazione del Colosseo”». Quanto alla costituzionalizzazione del pareggio di bilancio, «sembra un tema significativo, ma è sostanzialmente un diversivo». L’auspicio è che il Governo sia più attento all’Europa. Berlusconi, agli ospiti, è parso piuttosto distratto se non insofferente.L'editorialista del Corriere della Sera ha voluto fare il punto sull'attuale crisi finanziaria: «La responsabilità è una combinazione di mali nostri ed altrui. Non è un problema solo italiano, se fossi inglese sarei arrabbiato con Cameron, da francese con Sarkozy da tedesco con Angela Merkel. Non ci sono governi innocenti. All’origine di questi mali c'è, però, una gestione americana della crisi doppiamente responsabile. Se noi siamo in crisi, è anche perché - per almeno otto anni - il governo degli Stati Uniti ha dato licenza a Wall Street di stampare moneta, assolutamente fuori controllo, senza tenere il conto di quanta ne stesse circolando sui mercati». Si riferisce ovviamente ai titoli derivati, all’origine del crack mondiale. «Una politica finanziaria che non proviene dalla Casa Bianca è destinata ad aver conseguenze nefaste. Quando si sbaglia, specie se si è leader mondiali (e vorremmo vedere), si paga. Obama non ha gestito bene il problema del tetto del debito americano, il quale, va ricordato, fu un'invenzione repubblicana per fissare una soglia oltre la quale si era dei falliti (una soglia giuridica, non reale). Se gli Stati Uniti superano quel tetto non diventano automaticamente uno Stato in default. Saranno in difficoltà, questo sì, ma questo non significa dire addio agli Stati Uniti». Poi la chiosa, molto intelligente: «Nelle critiche ho dato per scontato quella a Berlusconi per non ripetermi e per non prestare il fianco a ragionamenti di partigianeria».

Si conclude con Giambattista Vico: “ci sono delle situazioni che sembrano traversie ma sono opportunità”. Magari anche questa lo fosse.
 
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