CORTINA RACCONTA - MAGISTRATURA-POLITICA, QUANDO FINISCE LA GUERRA?
MAGISTRATURA-POLITICA, QUANDO FINISCE LA GUERRA?
Evento del: 15/08/2011 18:00 - Audi Palace
Data articolo: 16/08/2011

​Lunedì di Ferragosto dedicato ad un tema scottante, quello degli intrecci tra magistratura e politica: pubblico interessiamo ed ospiti preziosi.

Maria Elisabetta Alberti Casellati, sottosegretario alla Giustizia, si augura di poter ricostruire il ruolo della giustizia. «C’è una necessità di riequilibrio tra poteri dello stato e c’è una necessità di parità tra accusa e difesa e di un diverso rapporto tra pubblico ministero e polizia giudiziaria. La nostra riforma della giustizia introdurrà la responsabilità dei magistrati, altro tema che, dopo il referendum, era stato ammorbidito da una legge. Spesso quando parliamo di riforma della giustizia ci soffermiamo sulle prerogative del magistrato, dimenticando che non è il fine, ma il mezzo del sistema giustizia. Al contrario di quanto è stato detto in modo aprioristico, la nostra riforma non è contro la magistratura. Anzi, ci piacerebbe costruirla insieme attorno ad un tavolo. Serve ai cittadini. Forse abbiamo iniziato tardi – ammette la senatrice del Pdl – visto che abbiamo preferito cominciare dalla giustizia civile che ha un rilievo economico importantissimo. La lentezza della giustizia civile incide molto sull’imprenditoria, specie piccola e media perché il ritardo del recupero di crediti può portare perfino alla morte dell’impresa. Sono d’accordo sulla separazione delle carriere; è nel nostro programma ed è essenziale proprio per realizzare quel giusto processo che mette sullo stesso piano la difesa e l’accusa. Anche questo fa parte del nostro programma e lo vogliamo realizzare». Oggi, giorno di festa è anche tempo di riflettere sulla condizione dei detenuti. «Pensiamo a varie misure perché il problema delle carceri esiste ed è grave, risolverlo con l’indulto o l’amnistia sarebbe il modo più semplice ma meno efficace. Abbiamo scelto la via strutturale: nuove carceri; eppoi convenzioni con l’Europa per cui ognuno sconti nel proprio paese la pena; misure alternative e depenalizzazione».

Antonio Ingroia è un onesto cortese. Il procuratore aggiunto della Procura distrettuale antimafia di Palermo, ed autore per Il Saggiatore de “Nel labirinto degli dèi. Storie di mafia e antimafia” discute della sa esperienza e mette in guardia dall’emergenza delle mafie finanziarie, oggi attivissime sul territorio nazionale. Ha esordito: «La nostra giustizia ha bisogno di una riforma. Se dobbiamo guardare a quelle che sono le esigenze dei cittadini, non c’è dubbio che è fondamentale per i cittadini avere una giustizia che sia efficiente e che funzioni. La riforma del Governo è una riforma che premia la categoria di cittadini che ha qualche difficoltà con la giustizia – allude il magistrato. L’obiettivo primario invece dovrebbe essere quello della ragionevolezza dei tempi: ebbene, non c’è nulla all’orizzonte che miri alla riduzione dei tempi processuali. La riforma della giustizia si propone invece di rifare l’architettura antecedenti alle modifiche dell’89, in base a un’idea che io considero non vera, che si debbano riequilibrare i poteri di fronte allo strapotere della magistratura.

Carlo Nordio, procuratore aggiunto Venezia, si definisce un magistrato dissidente, nel senso che «non sono sulla stessa linea di molti altri colleghi. Su molte cose però sono d’accordo con Ingroia. Nel 1989 abbiamo introdotto il processo alla Perry Mason, all’americana. Nel processo americano ci sono delle regole, se non le si applicano è come avere una Ferrari con il motore di una 500. L’attuale processo penale, quindi, funziona con: separazione delle carriere, non obbligatorietà dell’azione penale, differenza tra il giudice del fatto e il giudice del diritto, diversi rapporti tra pm e polizia giudiziaria». Ha proseguito: «Non avendo applicato nessuno di questi principi, il processo penale va a rotoli in Italia. La riforma epocale è però difficilmente attuabile per il conflitto tra magistratura e politica nato nel periodo di Tangentopoli; dal fatto che l’Italia è divisa tra chi pensa che Berlusconi faccia le leggi per sfuggire alla magistratura e chi pensa che la magistratura cerchi di impallinare Berlusconi».


Il presidente emerito Corte Costituzionale Piero Alberto Capotosti, si è detto convinto che «i nostri codici risalgono agli anni ‘40. Abbiamo fatto delle modifiche, ma essi continuano a risalire a un’altra società. È l’impianto di fondo che andrebbe rivisto. Quello che non ha funzionato è l’aver voluto introdurre il processo all’americana nella nostra cultura, a fronte di una Costituzione che non lo prevedeva affatto. Si è creato una discrasia tra la Costituzione del ’48 e il nuovo codice di procedura penale dell’89. L’attuale processo penale è un modello ibrido, frutto anche di alcune modifiche della Corte Costituzionale. I nostri Costituenti sono sempre stati molto saggi e avevano previsto l’autorizzazione a procedere. È stato smantellato dal ‘93 con l’autorizzazione a procedere. Ci si divide sempre tra innocentisti e colpevolisti nei processi penali. Se a questa naturale e fisiologica distinzione si aggiunge l’elemento che l’imputato è un uomo politico, tutta questa dialettica viene caricata di ulteriori significati ideologici. L’attenzione si alza, e a questo punto c’è il sospetto reciproco da una parte e dall’altra. Innocentisti e colpevolisti hanno un elemento in più, cioè il fatto che vi sia in ballo un uomo politico».


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